venerdì 15 novembre 2013

Degustazioni letterarie: "L'uccello che girava le viti del mondo" - Murakami Haruki

"Al mattino, Creta aveva perso il suo nome. Mi chiamò adagio poco dopo l'alba. Io mi svegliai, aprii gli occhi, e guardai il raggio di luce che entrava da una fessura nelle tende. Poi la vidi, seduta di fianco a me nel letto che mi guardava. Invece del pigiama si era messa una mia vecchia maglietta, ed era tutto quel che aveva indosso. Nella luce del  mattino, i suoi peli pubici splendevano, nerissimi. 
- Sai, ormai io non ho più un nome, - disse. Aveva smesso di essere una prostituta, di essere una medium, e di chiamarsi Creta.
- Okay il tuo nome non è più Creta, - risposi strofinandomi gli occhi con le dita. - Congratulazioni. Ormai sei una persona nuova. Ma io come devo chiamarti, d'ora in poi, se non hai più un nome? Mettiamo che mi trovi dietro di te e ti debba chiamare, come devo regolarmi?
La ragazza che fino alla sera prima rispondeva all'appellativo di Creta scosse la testa.
- Non lo so. Forse sarebbe meglio che mi trovassi un altro nome. Una volta ce l' avevo, sai, un nome vero. Ma è quello che usavo quando facevo la prostituta, e non ne voglio più sentir parlare. Poi quando ho smesso di prostituirmi mia sorella Malta mi ha messo il nome Creta, per farle da medium. Ma ormai io non sono più né l'una né l'altra cosa, e ho bisogno di un nome nuovo di zecca per questa nuova me stessa. Nessuna idea signor Okada? Un nome che si addica al mio nuovo io.
Ci pensai un po' su, ma non mi  venne in mente nulla di appropriato.
- Forse dovresti trovartelo tu, non credi? Visto che d'ora in poi sarai una persona nuova, indipendente. Penso che sia la cosa migliore, anche se ci  metterai un po' di tempo.
- Ma è molto difficile trovare un nome giusto per se stessi.
- Certo non è semplice. In certi casi un nome esprime tutto, - dissi. - Forse a questo punto dovrei perdere anch'io il mio, come te. Qualcosa mi dice che farei meglio.
La sorella di Malta si sollevò sul letto, stese una mano e mi toccò la guancia destra, sulla quale doveva ancora esserci una voglia della grandezza della mano di un neonato.
- Se tu adesso perdi il tuo nome, come ti posso chiamare?
- Uccello-giraviti, - dissi. Almeno io avevo un nuovo nome.
- Uccello-giraviti ,- ripeté lei. Poi restò un momento a guardare quelle due parole fluttuare nell'aria. -Penso sia un nome bellissimo, me che razza di uccello è?
- Esiste davvero. Che aspetto abbia però non  lo so, non l'ho mai visto,  l'ho solo sentito cantare. Si ferma sul ramo di un albero da queste parti, e si mette a stringere una dopo l'altra le viti del mondo, con un rumore stridente. Se smette, il mondo smette di funzionare. Però non lo sa nessuno. Tutti pensano che ci sia qualcosa di più grande, più complicato e più bello a far girare il mondo. Invece lo fa girare lui, si sposta da un posto all'altro e a mano a mano che si sposta va stringendo le viti. Sono viti molto rudimentali, sembrano quelle dei giocattoli. Basta solo farle girare. Però le può vedere solo l'uccello giraviti.
- L'uccello-giraviti, - ripeté l'ex Creta. - Che gira le viti del  mondo.
Alzai il viso e mi guardai intorno. Era la solita stanza che conoscevo bene, ci dormivo da quattro o cinque anni. Eppure sembrava stranamente vuota e ampia.
- Purtroppo però non so dove si trovino, quelle viti, - dissi. - E neanche che aspetto abbiano.
Lei posò le dita sopra la mia spalla. Poi con i polpastrelli disegnò dei piccoli cerchi.
Io ero steso supino, e guardavo in silenzio una piccola macchia sul soffitto, aveva la forma di uno stomaco. Si trovava proprio sopra il mio cuscino, ma non mi ero mai accorto che ci fosse. Da quando era lì? Da prima che io e Kumiko andassimo a vivere in  quella casa? Oppure si era installata lì in silenzio, trattenendo il fiato, proprio sopra di noi, mentre noi dormivamo insieme in quella stanza? Finché un mattino mi ero accorto della sua presenza.
Sentivo di fianco a me il respiro caldo della donna che una volta si chiamava Creta. Sentivo l'odore dolce del suo corpo. Lei continuava a disegnare piccoli cerchi sulla mia spalla. Avrei voluto prenderla ancora una volta tra le braccia, magari, ma non sapevo giudicare se fosse un'azione corretta o no. I rapporti tra le cose, alto e basso, destra e sinistra, erano troppo intricati. Rinunciai a pensare, e continuai a guardare in silenzio il soffitto. Finché lei non venne a sedersi sopra di me, e mi baciò leggermente sulla guancia destra. Quando le sua labbra morbide toccarono la voglia, provai una sorta di profondo torpore.
Chiusi gli occhi, e tesi le orecchie ai rumori del mondo. Sentii tubare da qualche parte un piccione. Costantemente, con pazienza. Quella voce era piena di affetto nei confronti del creato. Celebrava l'arriv del mattino estivo, e annunciava alla gente l'inizio di una giornata. Però non bastava, pensai, qualcuno doveva farlo girare, il mondo.
- Penso che un giorno riuscirai a trovarle quelle viti, sai?- disse l'ex Creta.
- Se è così, - le chiesi senza aprire gli occhi, - se un giorno riuscirò a trovarle e a stringerle, le cose torneranno a posto, questa vita insensata finirà?
Lei scosse in silenzio il capo. Nei suoi occhi apparve una leggerissima traccia di compassione.
- Non lo so, - disse.
- Non lo sa nessuno, -  risposi.
- Al mondo ci sono cose che è meglio non sapere, - aveva detto il tenente Mamiya."

  

Se parlare di libri fosse semplice quanto leggerli, di certo la gente invece di chiacchierare del tempo discuterebbe di letteratura. Non è solo per far conoscere libri che ritengo degni di essere letti che scrivo le mie "Degustazioni letterarie" e gli "Assaggi di saggi", è anche e soprattutto perché ad un certo punto della mia vita mi son resa conto di non conservare memoria di tanti libri che pure avevo letto. Dunque leggere e poi interrogarsi sul senso, sullo stile, sul messaggio di ciò che si è letto è un modo efficacissimo per collocarlo nella propria memoria ed evitare che sia stato tempo perso (la lettura non è mai tempo perso, sia chiaro, ma non è bello considerare che poco o niente si ricordi di qualche cosa che pure ci ha preso del tempo e ci ha suscitato delle emozioni).
Detto questo, ci sono libri con i quali questa attività di riflessione risulta particolarmente difficile, "L'uccello che girava le viti del mondo" è uno di questi.
Apparentemente si tratta della storia di un uomo che improvvisamente viene abbandonato dalla moglie e, nonostante questa gli faccia sapere che non vuole più vederlo né sentirlo, inizia a cercarla in maniera ossessiva, riuscendo alla fine a trovala.
Potrebbe sembrare una trama abbastanza semplice ma Haruki Murakami l'articola in  maniera immaginifica e complessa, trasportando protagonista e lettore in una dimensione parallela e oscura, accerchiandoli con personaggi surreali eppure ben caratterizzati e definiti. E il lettore non può far altro che affidarsi al protagonista. Ci si perde, ad un certo punto, e forse proprio questo voleva Murakami perché, da quel momento, il lettore diventa degno compagno di viaggio del protagonista, lo affianca, vagamente impaurito e sconcertato, in questo tortuoso percorso attraverso dimensioni spazio temporali lontane ma, in qualche modo, parallele dove ciò che accade ha ripercussioni nella vita reale. Difatti agendo in questi luoghi il protagonista riuscirà infine a ritrovare sua moglie. Ma il percorso che fa (e noi con lui) è davvero complesso e sovraccarico di significati. 
Questo non è certo un libro di quelli che si possano regalare al cognato mediamente acculturato a Natale (ché se poi decidesse di tirarvelo addosso potrebbe provocare un vistoso ematoma). Modestia a parte, questo è un libro per veri amanti della lettura, quelli che anche se si stanno annoiando a leggere i ricordi di un ex combattente della guerra della Manciuria (che vanno avanti da più di venti pagine) non si mette a pensare "quanto manca?", piuttosto ascolta quello che lo scrittore ha da dire con fiducia e curiosità per ritrovarsi, alla fine, ad ammirare la bravura dell'autore, che proprio in quelle pagine angosciose e, apparentemente lontane dalla vicenda principale, ha collocato la chiave per risolvere la ricerca. 
C'è poco da dire: su questo romanzo potrei scrivere molto senza riuscire a renderne la grandezza e la complessità. 830 pagine (in letteratura le dimensioni contano) delle quali l'autore ha una perfetta padronanza e sulle quali rivendica assoluta autorità. Difatti a Murakami interessa poco rassicurare il lettore e chiarire i punti oscuri, anzi sembra quasi provocarlo con una serie di domande che, alla fine, lascia senza risposta (a questo senso di smarrimento contribuisce anche il fatto che quello che leggiamo come un romanzo è in realtà la somma di tre volumi che in Giappone furono pubblicati separatamente), ne consegue, per il lettore, uno strano senso di spaesamento che tanto stride con la normalità finalmente ritrovata dal protagonista. Perché, alla fine, questo mi pare essere il nucleo del libro: posto che quella che conosciamo come realtà è solo l'espressione di un modo di stare al mondo (quello della maggior parte degli esseri umani), laddove a pochi è permesso di andare oltre (peraltro non senza conseguenze permanenti), tuttavia la nostra vita non può che svolgersi nell'ambito ristretto e pur condiviso che definiamo e collettivamente riconosciamo come "realtà". Questo è appunto il motivo per cui il protagonista pur incontrando una congerie di personaggi (per lo più femminili) tutti particolarissimi, intriganti e, a loro modo, seducenti non perde mai di vista lo scopo ultimo della sua ricerca: capire perché sua moglie l'ha abbandonato e dunque riportarla presso di sé. La grandezza di Murakami (anche quest'anno nella rosa dei candidati al Nobel per la letteratura ) sta proprio nell'originalità con cui intreccia i vissuti di questi personaggi con quelli del protagonista come se la vita di questo fosse non solo predeterminata ma addirittura preventivamente segnata dalla loro.
Ma ho parlato troppo, non sono riuscita a rendere neppure in minima parte la grandezza di questo romanzo e sono consapevole che tutto ciò che ho detto potrebbe essere usato contro di me da chi per lavoro si occupa di libri. Perdonatemi: astenermi dal commentare "L'uccello che girava le viti del mondo" sarebbe stata forse la cosa più semplice da fare eppure non ho saputo resistere alla tentazione di contagiarvi con l'ammirazione che ho provato nel leggerlo.
In conclusione, se amate la grande letteratura, fatevi un regalo: leggete questo libro!
E se decidete di farlo, ricordate le parole di De André:

"...il secchio gli disse -Signore, il pozzo è profondo, 
più fondo del fondo
degli occhi della notte del pianto.
Lui disse -Mi basta, mi basta che sia più profondo di me.
Lui disse -Mi basta, mi basta che sia più profondo di me."





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