mercoledì 22 maggio 2013

Se io potessi...


esprimere un desiderio per Matteo
con la certezza che venisse esaudito
desidererei, senz'altro,
che non gli mancassero mai scarpe
come invece spesso 
è accaduto a me












giovedì 2 maggio 2013

Quando la salute non c'è: curarsi in tempo di crisi

E' iniziato tutto a fine novembre: ci hanno mandato di corsa a Napoli (per noi che veniamo dal Lazio si fa prestissimo in Campania, misteri del Sistema Sanitario Nazionale!) a fare una tac pet, c'era un sospetto di recidiva locale di malattia. Quel giorno ho rischiato pure di essere investita. Dopo quattro giorni mi collego in rete e leggo il referto: quattro aree di alto assorbimento del mezzo di contrasto, tradotto quattro metastasi. Era il 14 dicembre. Contatto la dottoressa via mail (il telefono è mezzo di comunicazione troppo semplice per essere usato in quell'ospedale) la quale, dopo due giorni, mi risponde che bisogna avere fisicamente in mano l'esame: loro non possono visionare via web (ma che le fanno a fare le innovazioni se poi non le usano?); dunque parte mio fratello e torna a Napoli a ritirare l'esame. Quando me lo porta a casa trovo sull'involucro esterno una medaglietta di un santuario a noi vicino cui lui è molto devoto. Ricontatto l'oncologa che mi prenota una visita per il 20 dicembre. Troviamo il primario del day hospital il quale, azzerando anni e anni di studio di terminologia medica che mi permettesse di parlare con i medici alla presenza di mio padre senza fargli capire troppo bene il senso dei nostri discorsi (certe cose è meglio spiegarle con calma), se ne esce: "siamo di fronte a quattro nuovi tumori", alla faccia della chiarezza.
Una coltellata; tuttavia provo a rettificare "ma dottore non potrebbero essere falsi positivi, la tac pet ne da, alle volte" e lui rincara "no, no, non ci sono dubbi, questo sono quattro nuovi tumori, dobbiamo solo capire di che tipo istologico per decidere quale chemioterapia fare, per questo abbiamo necessità di effettuare delle biopsie, le prenoto una visita radiologica per il 2 gennaio" e guardandomi con commiserazione "bisogna avere un po' di pazienza, nel frattempo state calmi e buone feste!". Ah, ah, ah!!!
Passano natale e capodanno, vi lascio immaginare in che stato d'animo. Arriva il giorno della visita, il radiologo analizza attentamente le immagini, per un quarto d'ora nessuno parla, si sente solo il rumore dello scroll del muose. Alla fine il responso che non t'aspetti: "per quello che vedo, io non me la sento di partire subito con delle biopsie, quello che farei è invece ripetere gli esami a distanza di qualche tempo e valutare se ci sono delle variazioni, solo allora decideremo cosa fare".
Non sto qui a raccontarvela tutta: dirò solo che dopo due mesi di esami e controesami nessuna delle aree evidenziate dalla tac pet si è rivelata meritevole di esame bioptico, tutto ridimensionato.
Ecco cari lettori vi auguro di  non avere mai a che fare con una malattia tumorale ma, nel disgraziato caso,  ricordate sempre una una cosa: mai perdere le speranze almeno fino a prova contraria. Una volta un oncologo mi disse " il tumore non legge libri" a significare che è difficile prevedere il decorso di una malattia tumorale difatti, stando alle statistiche, papà avrebbe dovuto manifestare una recidiva già un anno fa. Attualmente non ve ne sono evidenze.
"Bello, bellissimo" direte voi.
"E allora perché siamo nel corridoio di un pronto soccorso alle quattro di notte aspettando un improbabile ricovero?" Pensavo una settimana fa dopo l'ennesima crisi di anuria e dolori fortissimi. Il fatto è che lo stent ureterale sta dando un sacco di problemi, a nulla sono servite le nostre "proteste": riuniti in seduta plenaria, oncologo, urologo e radiologo interventista hanno sentenziato che "lo stent è ben posizionato e funziona benissimo, per il dolore ci sono le opportune terapie farmacologiche". Invece: paracetamolo-codeina, fentanil, morfina. Non funziona nulla. Ci siamo decisi a rivolgerci ad altri medici. Appunto eravamo in pronto soccorso: l'ospedale dove papà ha subito l'intervento non ne ha (ti piace lavorare facile?).
Una notte di passione, tre giorni nel limbo del reparto di osservazione lunga (una specie di purgatorio, una camerata degna dei nosocomi dei primi del novecento, dieci, quindici pazienti assiepati, neanche un comodino per posare gli occhiali da vista) e poi a casa perché o muori o sopravvivi. Papà è sopravvissuto guadagnandosi una visita nell'ambulatorio di urologia dello stesso ospedale. Normalmente avremmo dovuto aspettare sei mesi per ottenerla, nonostante avessimo pagato la bellezza di duecento euro per una visita in regime privato con un importante urologo che lavora nello stesso ospedale (bello il tempo in cui bastavano i soldi a rendersi riconoscibili agli occhi di un medico). Ci aspettiamo una parola di speranza da questa visita.
"Non è possibile continuare così per me e nemmeno per voi, troppo strazio...a proposito torna a casa, tra poco Matteo si sveglia, chi ci pensa a lui?" Sono frasi come questa che mi riportano alla realtà dopo che la visione di decine e decine di malati, per lo più anziani, mi hanno fatto pensare, quella notte,   che si, alla fine, ci sarebbe da chiedersi se davvero sia giusto che la salute sia un diritto universale. Non sarebbe forse meglio curare solo alcuni? Quelli che hanno un ruolo importante nella società, quelli che se lo meritano. Presa in questo delirio (facilitato da trenta ore di veglia ininterrotta) sento papà dire "voi non potete sopportare tutto questo" e, all'improvviso, realizzo che ogni persona in quanto padre, madre, figlio, fratello, sorella, moglie o marito di qualcuno "merita di essere curato", punto.
E mi vengono in mente le parole di Gino Strada: se gli ospedali diventano aziende non hanno più interesse a curare le persone;




mio padre ha una lista di esami fatti che ho dovuto fare un promemoria per raccapezzarmici, ricoveri su ricoveri, una situazione oncologica di malattia ferma eppure sta talmente male da farmi paventare gesti estremi. Abbiamo la sensazione di star annegando in un bicchiere d'acqua, speriamo che qualcuno ci lanci un salvagente.
Nel frattempo in onore a quanti, medici e infermieri, continuano a lavorare con passione, professionalità e umanità (dote che in questo campo fa miracoli), in onore della dottoressa che quella notte, invece di riposare, si è seduta accanto a me e mi ha spiegato cosa ne pensasse della situazione clinica di papà, rispondendo alle mie domande e dandomi il suo punto di vista (non era affatto tenuta a farlo) segnalo questo approfondito articolo di Stefania Gabriele apparso sul blog goofynomics di Alberto Bagnai. Leggetelo, anche se lungo, servirà ad immunizzarvi a qualsiasi tentativo di convincervi che ci sia un limite al diritto alle cure mediche perché tanto, a breve, proveranno ad attaccare anche la sanità pubblica, facendoci credere che lo Stato italiano sta andando a rotoli perché ci curiamo troppo!
Intanto a metà maggio ci aspetta un'altra tac-pet: starò attenta a non farmi investire.
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