giovedì 22 dicembre 2011

"è normale?"

Sono davvero preoccupata: oggi c'è stata la recita di Matteo all'asilo e HO VISTO finalmente quello che avrei fatto meglio a non vedere, non così. Matteo era totalmente distaccato, ha cantato pochissimo, non ha ballato, non ha imitato i movimenti dei compagni, ad un certo punto si è seduto e ha iniziato a sbadigliare. 
"Suo figlio è calmo, fin troppo!" mi torna alla mente. Anche se ho un po la sindrome di Cassandra, ci sono rimasta malissimo . E sono preoccupata: cosa c'è che non va? Dove ho sbagliato? Ma poi di sbagli si tratterà? Ha compiuto tre anni da neanche un mese ed è ancora il mio stellocchietto, cosa mi aspettavo?
Che magari su ventritré bambini non fossero solo lui ed un altro a comportarsi così. Io che sto sempre a domandarmi "è normale?".
Però era il più bello!

venerdì 9 dicembre 2011

Cedere il passo alla violenza

Giovedì primo dicembre 2011 ad Oscar Giannino accadeva questo:

Oggi alle 14,30 mi è stato impedito l’accesso all’Università Statale di Milano in via del Conservatorio, dove ero invitato a un dibattito sull’euro organizzato da Azione Giovani. Numerosi studenti hanno bloccato l’ingresso, apostrofandomi “buffone, padrone, fascista, distruttore dell’Università”. Una bella doccia di pomodori pelati, qualche uovo. Nessuna possibilità di interloquire. La polizia, presente, mi ha cortesemente invitato a desistere. Così è stato. Questi i fatti. Nessun danno. Ognuno giudichi se si debba arrivare a episodi del genere. Studentesse e studenti che mi davano del fascista nopn avevano la minima idea di chi io fossi davvero e di che cosa pensassi. Quando è partito il coro “figlio di papà, noi qui a lavorare e tu a fare la bella vita”, non sapevo se ridere  di più che alla funzionaria di polizia che mi chiedeva di sgombrare.


lo stesso giorno, più o meno alla stessa ora, tra me e le maestre di Matteo avveniva la seguente conversazione:

"Ho notato che da qualche giorno Matteo è diventato aggressivo"
"In che senso signora?"
"Ha iniziato a picchiare un po tutti: me, il papà, i nonni; non appena  lo contrariamo, lui inizia a dar botte, peraltro fa anche male, non direi si tratti di un gioco, è semplicemente violento. Ebbene volevo sapere se si comporta così anche all'asilo inoltre vorrei chiedervi un consiglio, date le vostre specifiche competenze professionali, sull'atteggiamento migliore da adottare."

"Ma signora quello che mi dice mi sorprende: Matteo all'asilo è tranquillissimo, anche troppo! E poi qui i bambini non sono affatto aggressivi. Comunque non drammatizzi, sono fasi, come quella dei "perché?", un po di pazienza e passano." Arrivederci e grazie!


Allora: cosa hanno in comune queste due vicende? Chiaramente si tratta di due modi di agire la violenza, quello di Matteo e quello degli universitari, che per quanto simili (nel senso che è evidente la regressione psichica degli universitari) hanno motivazioni talmente diverse (ma poi neanche tanto, dato che i ragazzi non hanno motivato affatto!) da renderli eventi non commensurabili. Tuttavia essi hanno un terribile comune denominatore: il modo in  cui  strati della nostra società stanno via via arrendendosi all'idea che la violenza sia una modalità comportamentale accettabile in una società civile.
Mi pare infatti che ciò che ha sconcertato il sig. Giannino non sia stato tanto l'atteggiamento di chiusura estrema degli universitari che lo hanno aggredito "a priori" (non in risposta, peraltro comunque inaccettabile, al suo discorso ma prima che esso avvenisse e anzi proprio per impedirlo) quanto la reazione di chi in quelle circostanze avrebbe dovuto intervenire per garantire il suo diritto ad esprimere la propria opinione. Non si è fatto, insomma, in modo e maniera che Giannino potesse comunque partecipare al dibattito (per quanto dubito che un uomo della sua eleganza si sarebbe presentato in aula in quelle condizioni) ma si è fatto appello alla sua ragionevolezza e intelligenza e arrivederci e grazie! Gli è stato chiesto un passo indietro per agevolare l'onda di piena emotiva di un branco (e il termine non lo scelgo a caso) di incivili, al fine di evitare che la situazione degenerasse.
Ma torniamo a Matteo: la violenza non fa parte dei nostri usuali modelli comunicativi, ammetto che alle volte perdo la pazienza e ci scappa qualche schiaffo ma si tratta di eventi molto rari; Matteo guarda pochissimo la televisione e comunque quando lo fa non v'è traccia nei programmi che vede di comportamenti violenti; giorni fa è tornato a casa dall'asilo con al polso il segno di un morso davvero notevole per profondità e simmetria. E' chiaro che all'asilo assiste o è vittima di comportamenti aggressivi. Io ho sempre pensato che alla scuola spetti il compito principale di dare un'istruzione ai ragazzi e che l'educazione venga solo in seconda istanza spettando, in prima analisi, alla famiglia. Tuttavia la scuola dell'infanzia rappresenta un'eccezione perché è il luogo fisico e reale dove il bambino per la prima volta nella vita esercita la sua socialità. Sarebbe impossibile ricreare in casa un ambiente tanto complesso. Mirabili cose avvengono tra quelle mura, ciò nonostante il genitore (per motivi a me ancora poco chiari) generalmente viene fortemente tenuto alla larga; naturale dunque che lo stesso sia costretto a delegare alle insegnanti che invece, spero solo nel mio caso, sottovalutano.
Quello che avrei voluto sentirmi dire dalle maestre di Matteo è che la comparsa dell'aggressività è normale e auspicabile, perché fa parte dello sviluppo emotivo di ciascun bambino. Che l'asilo è il luogo in cui questi comportamenti prendono forma perché stimolati dalla presenza del gruppo dei pari e che proprio questa entità garantisce che il tutto avvenga in condizioni di sicurezza, che quello che l'adulto deve fare non è inibire questa tendenza ma spiegare che la violenza è ammissibile solo nel caso in cui la propria incolumità sia minacciata, che sarebbe auspicabile, a tal proposito, fornire al bambino esempi concreti di risoluzione dei conflitti mediante modalità alternative a quelle basate sull'uso della violenza.
Invece tutto quello che mi hanno detto è stato "è una fase, passerà". Anche a me, come  al sig. Giannino è stato chiesto un atto di ragionevolezza o meglio un passo indietro: stia tranquilla signora sono fasi normali, passerà, suo figlio diverrà adulto, gli cresceranno i peli sul petto, prenderà la patente e un giorno andrà all'università...magari a lanciar pomodori addosso a rispettabili dottori.
Tutto ciò è davvero molto triste. Perché questa arrendevolezza, questo lassismo pedagogico e civile? Perché quei giovani nel momento dell'ideazione della loro "azione" non hanno percepito la sostanziale stupidità del loro gesto? Perché le maestre di mio figlio non vedono il potenziale pedagogico che questo momento offre a loro e a me in quanto "responsabili" della crescita di Matteo? Insomma perché, alla fin fine, tolleriamo la violenza?



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