mercoledì 26 ottobre 2011

Non ti sopporto più!

"va bene cominciamo
che prima concludiamo
prima posso andare via"
canta un grande
e allora:

Matteo, stellocchietto di mamma, ti voglio tanto bene ma quando butti tutto per terra e riempi il pavimento di briciole varie, proprio il giorno che avevo pulito tutto per bene, sgombrando l'ambiente esterno alla ricerca dell'ordine che all'interno mi manca,  io non ti sopporto
e quando, dovendo evidentemente scaricare la tua rabbia, inizi ad agitare braccia e gambe senza considerare che di fronte a te ci sono io, mamma aperta e consapevole delle nuove tendenze della moderna pedagogia, ma pur sempre fatta di carne ed ossa (peraltro piuttosto minute), io non ti sopporto
e non ti sopporto quando rifiuti di usare il vasino e fai la cacca nelle mutandine e poi non sai darmi motivazione valida di questa tua preferenza
e quando ti sto vestendo e trovi sempre qualcosa alle tue spalle che imperiosamente richiama la tua attenzione 
e quando dobbiamo uscire e all'improvviso ti colpisce l'idea che invece è più interessante giocare a far rotolare il tubo delle gomme da masticare, io non ti sopporto.
Però tranquillo: sei il mio bimbo e se ci sei è perché l'ho voluto io, dunque troverò le energie necessarie a sopportare quello che non sopporto di te aspettando che tu sia in grado di capire ed evitando nel frattempo (che il cielo mi aiuti) di buttarti dalla finestra. 
Papà camp: la sede è pubblica dunque non mi pare il caso di dire qui quello che non sopporto di te ma ce n'è anche per te, in separata sede, che poi non so nemmeno se ti interessa saperlo e questo, te lo posso dire anche da qui, non lo sopporto.
Luna: forse non ti è ancora chiaro il concetto ma tu devi fare quello che dico io non quello che fa Trilli, lo so che lei è un canide come te ed è uno spirito libero ma quando usciamo tu non puoi pretendere di seguirla nei suoi vagabondaggi, questo io non lo sopporto.
Passiamo quindi alla famiglia d'origine: io non vi sopporto più, anche se sono la più intelligente non significa che debba sempre essere io ad ascoltare, consolare, giustificare e mediare. Non lo sopporto più: iniziate a darvi da fare pure voi invece di arroccarvi ognuno sulle proprie posizioni con quel contegno sdegnoso che vi viene tanto facile assumere. Io ci tengo alla pace familiare ma ancora di più al mio equilibrio psichico. Se continua così, un bel giorno me ne laverò le mani e chi s'è visto s'è visto e poi non venite a dirmi che vi dispiacerà perché a quel punto sarà a me che non importerà più nulla.
E non sopporto più nemmeno la famiglia allargata: tutti baci e abbracci e poi appena ti volti, tutti a gettar fango e a seminare zizzania. Per non parlare di quelli che non perdono occasione per provocarmi perché tra le missioni della loro scialba vita c'è quella di tirarmi fuori il peggio così, tanto per sentirsi meno mediocri. Lo sapete che non lo sopporto, che mai ve la darò vinta (a parte i normali e funzionali scleraggi che, nonostante la mia superiore natura, mi caratterizzano come umana, infine) a costo di fare come se non esistiate. Ma anzi, iniziamo da subito che tanto già s'è capito che, con voi, ogni sforzo è vano e sprecato. 
Infine non che non ci dorma la notte ma un blog, per quanto poco visitato, ce l'ho anche io dunque, da blogger  della domenica, dirò che:
non sopporto quelli che il giorno prima scrivono post che sembrano l'ultimo messaggio di un suicida e il giorno dopo pubblicano la raccolta completa delle barzellette italiane dal dopoguerra ad oggi, e quelli che "seguono" trecento blog ma poi non li seguono e quelli che scrivono e tu commenti e loro non si degnano neppure di rispondere neanche fossero Beppe Grillo.
E non sopporto quelli che mi intasano il blog alla ricerca di immagini di Peppa Pig. Non avete idea di quanta gente al mondo lo faccia. Boh!

Ecco: ho affidato alla rete la lista aggiornata di quello che non sopporto perché, quando davvero fai ogni sforzo possibile per fare bene e ti continua a piovere sulla testa e sui piedi, allora è arrivato il momento di fermarsi e dire "io questo non lo sopporto e non muoverò un solo muscolo in più nella tua direzione, se ci tieni, muoviti tu perché io sono stanca".
Ho finito, vado.



mercoledì 19 ottobre 2011

Assaggi di saggi: "La persecuzione del bambino" Alice Miller

"Ritengo quindi che il mio compito consista nel sensibilizzare l'opinione pubblica nei confronti delle sofferenze della prima infanzia, e tento di farlo su due piani diversi, in entrambi i casi cercando di parlare al bambino che un tempo ogni lettore adulto è stato. Nella prima parte faccio ricorso all'esposizione della "pedagogia nera", vale a dire dei metodi educativi con i quali sono cresciuti i nostri genitori e i nostri nonni. In alcuni lettori il primo capitolo potrà suscitare sentimenti di ira e collera che si potranno rivelare assai salutari. Nella seconda parte descrivo l'infanzia di una ragazza drogata, di un capo politico e di un'infanticida, tutti e tre, da bambini, vittime di pesanti umiliazioni e gravi maltrattamenti [...] Tutte e tre le vicende attestano l'effetto devastante dell'educazione, l'annientamento da essa operato nei riguardi di qualsiasi forma di vitalità, il pericolo che essa rappresenta per la società [...] Sarebbe anche importante e utile tener sempre presente, durante la lettura di questo volume, che con i termini di "genitori e "bambini" non si vogliono intendere individui precisi, bensì condizioni, situazioni o posizioni giuridiche che riguardano tutti noi, dato che tutti i genitori un tempo sono stati bambini, e visto che i bambini di oggi un giorno o l'altro diverranno a loro volta genitori."

"Solo quando sono in grado di indignarmi per un'ingiustizia che mi è stata fatta, quando riconosco la persecuzione in quanto tale e riesco a riconoscere e a odiare il mio persecutore, solo allora mi si apre la via del perdono. L'ira, la rabbia e l'odio repressi cessano di venire perpetuati solamente se si è in grado di scoprire la storia delle persecuzioni subite nei primissimi anni di vita. Tali sentimenti si tramuteranno nel lutto e nel dolore per il fatto che le cose siano dovute andare proprio a quel modo, e pur in tale rincrescimento lasceranno posto a una comprensione autentica: la comprensione di chi è ormai adulto e riesce ad avere una conoscenza profonda dell'infanzia dei suoi genitori e, finalmente libero del suo odio, è in grado di nutrire un vero e maturo sentimento di empatia. [...] Se un adulto ha avuto la fortuna di spingersi sino alle origini delle ingiustizie private e individuali sofferte durante la sua infanzia e di viverle con sentimenti consapevoli, con il tempo arriverà lui stesso a comprendere - meglio se lo farà senza assistenza pedagogica o religiosa di sorta - che i suoi genitori l'hanno tormentato o maltrattato, non perché ci provassero gusto o perché erano forti ed esuberanti, ma solo perché non potevano fare altrimenti, dato che un tempo anch'essi erano stati a loro volta delle vittime, e perciò credevano nei metodi educativi tradizionali." 


Questo libro è difficile; stavo quasi per abbandonarlo con un'impressione che difficilmente mi avrebbe portato a riprenderlo in mano (se non in uno di quei momenti in cui hai finito il libro che stavi leggendo e non ne hai di nuovi) quando si è accesa la lampadina.
Immaginate di leggere ottanta pagine circa di riflessioni pedagogiche scritte dalla seconda metà del settecento alla prima del novecento; tecniche "educative" che oggi considereremmo maltrattamenti puri e semplici; immaginate di pensare "ma a me che me ne importa? Oggi siamo altri genitori, altri bambini" e poi, all'improvviso,  trovarvi a considerare che "aspetta un po...tutto sommato anche io in questa situazione...".
Ecco, da quel punto in poi inizia la "catarsi". Il velo è stato tolto e adesso lo vedete, il velo della pedagogia nera, di quell'educazione di cui tutti siamo stati vittime e che tutti ci manovra quando ci relazioniamo ai nostri stessi figli. A meno che, appunto, non iniziamo a riconoscerla in azione e a metterla profondamente in discussione.
E' una cosa auspicabile, come dimostra efficacemente la Miller analizzando le drammatiche esistenze di tre bambini sottoposti in maniera sistematica a questi maltrattamenti e, tuttavia, di difficile realizzazione perché presuppone una presa di coscienza profonda delle zone d'ombra della nostra personale infanzia. Riuscire a vivere rabbia e lutto per i bambini che non siamo stati e risparmiare così ai nostri figli la stessa sorte; non ci sono scorciatoie razionali per farlo, questo libro, almeno, non ne indica. Infatti ciò che in esso colpisce non sono tanto le teorie esposte o il grande lavoro di documentazione delle fonti, tutto ciò rimanda a una "modalità" di lettura secondaria rispetto a quella che poggia sulla forza evocativa del volume che, pagina dopo pagina, tenta di parlare al nostro lato oscuro attraverso l'empatia e l'emotività per costringervi a vedere ciò che non avete mai voluto considerare.
Insomma questo libro è una grande regalo, è una specie di avvizzita mela (in una favola al contrario) donata da una fatina buona ad un' egoista Biancaneve per farla risvegliare dal peggior incubo della sua vita. E non siate troppo sicuri, mentre lo leggete, di interpretare la parte del principe azzurro, sveglio e grato in mezzo ai sette nani, lasciatevi togliere dagli occhi questo velo che vi offusca la vista.



venerdì 7 ottobre 2011

Per favore non ditemi: "te l'avevo detto!"

Ebbene si: quel progettino tanto carino che avevo in mente credo, quasi sicuramente, rimarrà nella mia mente.
E' andata così: le mamme sono rimaste abbastanza indifferenti, le maestre invece si sono mostrate interessate e, dopo aver fatto qualche rilievo tecnico, hanno espresso la loro disponibilità se il preside fosse stato d'accordo.
Vero che ho avuto l'impressione di una certa condiscendenza ma lì per lì, non c'ho dato peso.
Il giorno dell'incontro col preside, ho esposto anche a lui la richiesta e la sua prima reazione è stata di un certo sconcerto: "signora mi coglie impreparato, dovrei controllare se la cosa è permessa"
e io "dal regolamento no, ho già controllato" (poco astuto da parte mia, ma almeno si sarebbero evitate inutili perdite di tempo), 
"tuttavia il regolamento potrebbe essere modificato...si mi debbo informare", continua lui, 
"si mette bene", penso io 
ma ecco la pugnalata alle spalle della maestra "però vede preside, io la signora la capisco, anche io quando ho avuto i miei figli all'asilo ero come lei molto preoccupata, però per i bambini questo via vai di genitori...("e se me lo dicevi subito non era meglio?", penso io) che interaggirebbero anche con gli altri bambini..." 
E il preside subito "in effetti signora lei deve pensare che anche una frase innocua che so -ma che belle guanciotte che hai!- può essere vissuta male da un bimbo che non è il proprio figlio". 
E' stato difficile evitare di farmi una bella risata (magari con grugnito) all'udire questa cosa che, a pensarci bene, invece, è un po spaventosa tuttavia ho cercato di ribattere parlando di "atteggiamento aperto ma rispettoso verso gli altri bambini" ma a quel punto questioni serie, come quella della caldaia o quella delle pulizie, già incalzavano le pragmatiche mamme e dunque il mio progetto è rimasto così, nel limbo del "vedremo".
"Vabbé c'ho provato", ho pensato lì per lì concentrandomi su problemi di budget  e straordinari negati di cui, francamente, non mi importava niente. In realtà c'ero rimasta male.
Comunque ho avuto modo di rimanerci peggio: al momento dei saluti il preside mi fa: "lei signora è un po apprensiva, però debbo documentarmi...noi abbiamo l'autonomia, quindi possiamo fare quello che riteniamo più opportuno;  debbo controllare se fanno qualcosa si simile in Finlandia o in Norvegia".
Cioè: il fatto che un direttore (didattico, sanitario, amministrativo ecc) guardi all'Europa in cerca di ispirazione è di per sé confortante. Del resto qui parliamo di uno che ama il suo lavoro, che parla con i genitori e che ha in mente progetti di orti in cui i bambini potrebbero coltivare insalata da rivendere al mercato la domenica. Un progressista! Finlandia e Norvegia permettendo.
E poi non sono più apprensiva di quelle mamme che sento ripetere a giorni alterni "mi sono arrivate delle voci su quella maestra...attenzione eh!". A parte che pure a me sono arrivate voci (da Matteo, fonte attendibilissima) che pare che il direttore si porti via i bambini cattivi (alla faccia delle guanciotte), comunque io mi fido della professionalità delle nostre maestre; i tristissimi eventi che purtroppo sono accaduti in alcuni nidi e asili italiani, voglio considerarli come aberrazioni, fatti eccezionali e mostruosi. Nulla a che vedere con Matteo e la sua vita scolastica.
No, non sono apprensiva; era solo una gran voglia di tornare bambina in quello stesso asilo dove ho lasciato qualcosa di irrisolto, dove il mio primo giorno ho visto questa bambina sola (ero io, era un'altra? Che importa) nell'immenso piazzale, che piangeva e nessuno a consolarla. Era per tornare indietro nel tempo e avere una seconda opportunità. Era per crescere un po.
E vabbè: c'ho provato.

Stellocchiotto di mamma, mi ricordo che m'hai detto "io ho pianto perché volevo che c'eri anche tu con me all'asilo" e allora ho provato a chiedere alla maestra il permesso di stare un po con te; ma lei dice che non si può perché per diventare grandi i bambini, quando vanno all'asilo, debbono stare solo con le maestre e gli altri bambini. Non lo so perché ma se lo dice la maestra, sicuramente è così.
Vabbé ma a noi che importa: all'asilo si sta bene anche senza la mamma e quando torni possiamo stare tanto tempo insieme;
e poi mamma adesso fa un bel sogno in cui diventa una bambina come te e così nel sogno ti vengo a trovare e andiamo insieme all'asilo e facciamo tanti disegni molto colorati e mi fai conoscere i tuoi amichetti.
E tu, amore, pensa solo che adesso, come dice una canzone che sembra tanto triste ma invece non lo è, "dobbiamo approfittare di questi venti gelidi"* e se abbiamo freddo, possiamo coprirci ma questo viaggio lo dobbiamo fare e ti prometto che ti piacerà. Baciotto.



*e scusate se musicalmente in questo periodo sono un po monotematica ma la bravura non è mai ripetitiva.



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