giovedì 22 dicembre 2011

"è normale?"

Sono davvero preoccupata: oggi c'è stata la recita di Matteo all'asilo e HO VISTO finalmente quello che avrei fatto meglio a non vedere, non così. Matteo era totalmente distaccato, ha cantato pochissimo, non ha ballato, non ha imitato i movimenti dei compagni, ad un certo punto si è seduto e ha iniziato a sbadigliare. 
"Suo figlio è calmo, fin troppo!" mi torna alla mente. Anche se ho un po la sindrome di Cassandra, ci sono rimasta malissimo . E sono preoccupata: cosa c'è che non va? Dove ho sbagliato? Ma poi di sbagli si tratterà? Ha compiuto tre anni da neanche un mese ed è ancora il mio stellocchietto, cosa mi aspettavo?
Che magari su ventritré bambini non fossero solo lui ed un altro a comportarsi così. Io che sto sempre a domandarmi "è normale?".
Però era il più bello!

venerdì 9 dicembre 2011

Cedere il passo alla violenza

Giovedì primo dicembre 2011 ad Oscar Giannino accadeva questo:

Oggi alle 14,30 mi è stato impedito l’accesso all’Università Statale di Milano in via del Conservatorio, dove ero invitato a un dibattito sull’euro organizzato da Azione Giovani. Numerosi studenti hanno bloccato l’ingresso, apostrofandomi “buffone, padrone, fascista, distruttore dell’Università”. Una bella doccia di pomodori pelati, qualche uovo. Nessuna possibilità di interloquire. La polizia, presente, mi ha cortesemente invitato a desistere. Così è stato. Questi i fatti. Nessun danno. Ognuno giudichi se si debba arrivare a episodi del genere. Studentesse e studenti che mi davano del fascista nopn avevano la minima idea di chi io fossi davvero e di che cosa pensassi. Quando è partito il coro “figlio di papà, noi qui a lavorare e tu a fare la bella vita”, non sapevo se ridere  di più che alla funzionaria di polizia che mi chiedeva di sgombrare.


lo stesso giorno, più o meno alla stessa ora, tra me e le maestre di Matteo avveniva la seguente conversazione:

"Ho notato che da qualche giorno Matteo è diventato aggressivo"
"In che senso signora?"
"Ha iniziato a picchiare un po tutti: me, il papà, i nonni; non appena  lo contrariamo, lui inizia a dar botte, peraltro fa anche male, non direi si tratti di un gioco, è semplicemente violento. Ebbene volevo sapere se si comporta così anche all'asilo inoltre vorrei chiedervi un consiglio, date le vostre specifiche competenze professionali, sull'atteggiamento migliore da adottare."

"Ma signora quello che mi dice mi sorprende: Matteo all'asilo è tranquillissimo, anche troppo! E poi qui i bambini non sono affatto aggressivi. Comunque non drammatizzi, sono fasi, come quella dei "perché?", un po di pazienza e passano." Arrivederci e grazie!


Allora: cosa hanno in comune queste due vicende? Chiaramente si tratta di due modi di agire la violenza, quello di Matteo e quello degli universitari, che per quanto simili (nel senso che è evidente la regressione psichica degli universitari) hanno motivazioni talmente diverse (ma poi neanche tanto, dato che i ragazzi non hanno motivato affatto!) da renderli eventi non commensurabili. Tuttavia essi hanno un terribile comune denominatore: il modo in  cui  strati della nostra società stanno via via arrendendosi all'idea che la violenza sia una modalità comportamentale accettabile in una società civile.
Mi pare infatti che ciò che ha sconcertato il sig. Giannino non sia stato tanto l'atteggiamento di chiusura estrema degli universitari che lo hanno aggredito "a priori" (non in risposta, peraltro comunque inaccettabile, al suo discorso ma prima che esso avvenisse e anzi proprio per impedirlo) quanto la reazione di chi in quelle circostanze avrebbe dovuto intervenire per garantire il suo diritto ad esprimere la propria opinione. Non si è fatto, insomma, in modo e maniera che Giannino potesse comunque partecipare al dibattito (per quanto dubito che un uomo della sua eleganza si sarebbe presentato in aula in quelle condizioni) ma si è fatto appello alla sua ragionevolezza e intelligenza e arrivederci e grazie! Gli è stato chiesto un passo indietro per agevolare l'onda di piena emotiva di un branco (e il termine non lo scelgo a caso) di incivili, al fine di evitare che la situazione degenerasse.
Ma torniamo a Matteo: la violenza non fa parte dei nostri usuali modelli comunicativi, ammetto che alle volte perdo la pazienza e ci scappa qualche schiaffo ma si tratta di eventi molto rari; Matteo guarda pochissimo la televisione e comunque quando lo fa non v'è traccia nei programmi che vede di comportamenti violenti; giorni fa è tornato a casa dall'asilo con al polso il segno di un morso davvero notevole per profondità e simmetria. E' chiaro che all'asilo assiste o è vittima di comportamenti aggressivi. Io ho sempre pensato che alla scuola spetti il compito principale di dare un'istruzione ai ragazzi e che l'educazione venga solo in seconda istanza spettando, in prima analisi, alla famiglia. Tuttavia la scuola dell'infanzia rappresenta un'eccezione perché è il luogo fisico e reale dove il bambino per la prima volta nella vita esercita la sua socialità. Sarebbe impossibile ricreare in casa un ambiente tanto complesso. Mirabili cose avvengono tra quelle mura, ciò nonostante il genitore (per motivi a me ancora poco chiari) generalmente viene fortemente tenuto alla larga; naturale dunque che lo stesso sia costretto a delegare alle insegnanti che invece, spero solo nel mio caso, sottovalutano.
Quello che avrei voluto sentirmi dire dalle maestre di Matteo è che la comparsa dell'aggressività è normale e auspicabile, perché fa parte dello sviluppo emotivo di ciascun bambino. Che l'asilo è il luogo in cui questi comportamenti prendono forma perché stimolati dalla presenza del gruppo dei pari e che proprio questa entità garantisce che il tutto avvenga in condizioni di sicurezza, che quello che l'adulto deve fare non è inibire questa tendenza ma spiegare che la violenza è ammissibile solo nel caso in cui la propria incolumità sia minacciata, che sarebbe auspicabile, a tal proposito, fornire al bambino esempi concreti di risoluzione dei conflitti mediante modalità alternative a quelle basate sull'uso della violenza.
Invece tutto quello che mi hanno detto è stato "è una fase, passerà". Anche a me, come  al sig. Giannino è stato chiesto un atto di ragionevolezza o meglio un passo indietro: stia tranquilla signora sono fasi normali, passerà, suo figlio diverrà adulto, gli cresceranno i peli sul petto, prenderà la patente e un giorno andrà all'università...magari a lanciar pomodori addosso a rispettabili dottori.
Tutto ciò è davvero molto triste. Perché questa arrendevolezza, questo lassismo pedagogico e civile? Perché quei giovani nel momento dell'ideazione della loro "azione" non hanno percepito la sostanziale stupidità del loro gesto? Perché le maestre di mio figlio non vedono il potenziale pedagogico che questo momento offre a loro e a me in quanto "responsabili" della crescita di Matteo? Insomma perché, alla fin fine, tolleriamo la violenza?



mercoledì 26 ottobre 2011

Non ti sopporto più!

"va bene cominciamo
che prima concludiamo
prima posso andare via"
canta un grande
e allora:

Matteo, stellocchietto di mamma, ti voglio tanto bene ma quando butti tutto per terra e riempi il pavimento di briciole varie, proprio il giorno che avevo pulito tutto per bene, sgombrando l'ambiente esterno alla ricerca dell'ordine che all'interno mi manca,  io non ti sopporto
e quando, dovendo evidentemente scaricare la tua rabbia, inizi ad agitare braccia e gambe senza considerare che di fronte a te ci sono io, mamma aperta e consapevole delle nuove tendenze della moderna pedagogia, ma pur sempre fatta di carne ed ossa (peraltro piuttosto minute), io non ti sopporto
e non ti sopporto quando rifiuti di usare il vasino e fai la cacca nelle mutandine e poi non sai darmi motivazione valida di questa tua preferenza
e quando ti sto vestendo e trovi sempre qualcosa alle tue spalle che imperiosamente richiama la tua attenzione 
e quando dobbiamo uscire e all'improvviso ti colpisce l'idea che invece è più interessante giocare a far rotolare il tubo delle gomme da masticare, io non ti sopporto.
Però tranquillo: sei il mio bimbo e se ci sei è perché l'ho voluto io, dunque troverò le energie necessarie a sopportare quello che non sopporto di te aspettando che tu sia in grado di capire ed evitando nel frattempo (che il cielo mi aiuti) di buttarti dalla finestra. 
Papà camp: la sede è pubblica dunque non mi pare il caso di dire qui quello che non sopporto di te ma ce n'è anche per te, in separata sede, che poi non so nemmeno se ti interessa saperlo e questo, te lo posso dire anche da qui, non lo sopporto.
Luna: forse non ti è ancora chiaro il concetto ma tu devi fare quello che dico io non quello che fa Trilli, lo so che lei è un canide come te ed è uno spirito libero ma quando usciamo tu non puoi pretendere di seguirla nei suoi vagabondaggi, questo io non lo sopporto.
Passiamo quindi alla famiglia d'origine: io non vi sopporto più, anche se sono la più intelligente non significa che debba sempre essere io ad ascoltare, consolare, giustificare e mediare. Non lo sopporto più: iniziate a darvi da fare pure voi invece di arroccarvi ognuno sulle proprie posizioni con quel contegno sdegnoso che vi viene tanto facile assumere. Io ci tengo alla pace familiare ma ancora di più al mio equilibrio psichico. Se continua così, un bel giorno me ne laverò le mani e chi s'è visto s'è visto e poi non venite a dirmi che vi dispiacerà perché a quel punto sarà a me che non importerà più nulla.
E non sopporto più nemmeno la famiglia allargata: tutti baci e abbracci e poi appena ti volti, tutti a gettar fango e a seminare zizzania. Per non parlare di quelli che non perdono occasione per provocarmi perché tra le missioni della loro scialba vita c'è quella di tirarmi fuori il peggio così, tanto per sentirsi meno mediocri. Lo sapete che non lo sopporto, che mai ve la darò vinta (a parte i normali e funzionali scleraggi che, nonostante la mia superiore natura, mi caratterizzano come umana, infine) a costo di fare come se non esistiate. Ma anzi, iniziamo da subito che tanto già s'è capito che, con voi, ogni sforzo è vano e sprecato. 
Infine non che non ci dorma la notte ma un blog, per quanto poco visitato, ce l'ho anche io dunque, da blogger  della domenica, dirò che:
non sopporto quelli che il giorno prima scrivono post che sembrano l'ultimo messaggio di un suicida e il giorno dopo pubblicano la raccolta completa delle barzellette italiane dal dopoguerra ad oggi, e quelli che "seguono" trecento blog ma poi non li seguono e quelli che scrivono e tu commenti e loro non si degnano neppure di rispondere neanche fossero Beppe Grillo.
E non sopporto quelli che mi intasano il blog alla ricerca di immagini di Peppa Pig. Non avete idea di quanta gente al mondo lo faccia. Boh!

Ecco: ho affidato alla rete la lista aggiornata di quello che non sopporto perché, quando davvero fai ogni sforzo possibile per fare bene e ti continua a piovere sulla testa e sui piedi, allora è arrivato il momento di fermarsi e dire "io questo non lo sopporto e non muoverò un solo muscolo in più nella tua direzione, se ci tieni, muoviti tu perché io sono stanca".
Ho finito, vado.



mercoledì 19 ottobre 2011

Assaggi di saggi: "La persecuzione del bambino" Alice Miller

"Ritengo quindi che il mio compito consista nel sensibilizzare l'opinione pubblica nei confronti delle sofferenze della prima infanzia, e tento di farlo su due piani diversi, in entrambi i casi cercando di parlare al bambino che un tempo ogni lettore adulto è stato. Nella prima parte faccio ricorso all'esposizione della "pedagogia nera", vale a dire dei metodi educativi con i quali sono cresciuti i nostri genitori e i nostri nonni. In alcuni lettori il primo capitolo potrà suscitare sentimenti di ira e collera che si potranno rivelare assai salutari. Nella seconda parte descrivo l'infanzia di una ragazza drogata, di un capo politico e di un'infanticida, tutti e tre, da bambini, vittime di pesanti umiliazioni e gravi maltrattamenti [...] Tutte e tre le vicende attestano l'effetto devastante dell'educazione, l'annientamento da essa operato nei riguardi di qualsiasi forma di vitalità, il pericolo che essa rappresenta per la società [...] Sarebbe anche importante e utile tener sempre presente, durante la lettura di questo volume, che con i termini di "genitori e "bambini" non si vogliono intendere individui precisi, bensì condizioni, situazioni o posizioni giuridiche che riguardano tutti noi, dato che tutti i genitori un tempo sono stati bambini, e visto che i bambini di oggi un giorno o l'altro diverranno a loro volta genitori."

"Solo quando sono in grado di indignarmi per un'ingiustizia che mi è stata fatta, quando riconosco la persecuzione in quanto tale e riesco a riconoscere e a odiare il mio persecutore, solo allora mi si apre la via del perdono. L'ira, la rabbia e l'odio repressi cessano di venire perpetuati solamente se si è in grado di scoprire la storia delle persecuzioni subite nei primissimi anni di vita. Tali sentimenti si tramuteranno nel lutto e nel dolore per il fatto che le cose siano dovute andare proprio a quel modo, e pur in tale rincrescimento lasceranno posto a una comprensione autentica: la comprensione di chi è ormai adulto e riesce ad avere una conoscenza profonda dell'infanzia dei suoi genitori e, finalmente libero del suo odio, è in grado di nutrire un vero e maturo sentimento di empatia. [...] Se un adulto ha avuto la fortuna di spingersi sino alle origini delle ingiustizie private e individuali sofferte durante la sua infanzia e di viverle con sentimenti consapevoli, con il tempo arriverà lui stesso a comprendere - meglio se lo farà senza assistenza pedagogica o religiosa di sorta - che i suoi genitori l'hanno tormentato o maltrattato, non perché ci provassero gusto o perché erano forti ed esuberanti, ma solo perché non potevano fare altrimenti, dato che un tempo anch'essi erano stati a loro volta delle vittime, e perciò credevano nei metodi educativi tradizionali." 


Questo libro è difficile; stavo quasi per abbandonarlo con un'impressione che difficilmente mi avrebbe portato a riprenderlo in mano (se non in uno di quei momenti in cui hai finito il libro che stavi leggendo e non ne hai di nuovi) quando si è accesa la lampadina.
Immaginate di leggere ottanta pagine circa di riflessioni pedagogiche scritte dalla seconda metà del settecento alla prima del novecento; tecniche "educative" che oggi considereremmo maltrattamenti puri e semplici; immaginate di pensare "ma a me che me ne importa? Oggi siamo altri genitori, altri bambini" e poi, all'improvviso,  trovarvi a considerare che "aspetta un po...tutto sommato anche io in questa situazione...".
Ecco, da quel punto in poi inizia la "catarsi". Il velo è stato tolto e adesso lo vedete, il velo della pedagogia nera, di quell'educazione di cui tutti siamo stati vittime e che tutti ci manovra quando ci relazioniamo ai nostri stessi figli. A meno che, appunto, non iniziamo a riconoscerla in azione e a metterla profondamente in discussione.
E' una cosa auspicabile, come dimostra efficacemente la Miller analizzando le drammatiche esistenze di tre bambini sottoposti in maniera sistematica a questi maltrattamenti e, tuttavia, di difficile realizzazione perché presuppone una presa di coscienza profonda delle zone d'ombra della nostra personale infanzia. Riuscire a vivere rabbia e lutto per i bambini che non siamo stati e risparmiare così ai nostri figli la stessa sorte; non ci sono scorciatoie razionali per farlo, questo libro, almeno, non ne indica. Infatti ciò che in esso colpisce non sono tanto le teorie esposte o il grande lavoro di documentazione delle fonti, tutto ciò rimanda a una "modalità" di lettura secondaria rispetto a quella che poggia sulla forza evocativa del volume che, pagina dopo pagina, tenta di parlare al nostro lato oscuro attraverso l'empatia e l'emotività per costringervi a vedere ciò che non avete mai voluto considerare.
Insomma questo libro è una grande regalo, è una specie di avvizzita mela (in una favola al contrario) donata da una fatina buona ad un' egoista Biancaneve per farla risvegliare dal peggior incubo della sua vita. E non siate troppo sicuri, mentre lo leggete, di interpretare la parte del principe azzurro, sveglio e grato in mezzo ai sette nani, lasciatevi togliere dagli occhi questo velo che vi offusca la vista.



venerdì 7 ottobre 2011

Per favore non ditemi: "te l'avevo detto!"

Ebbene si: quel progettino tanto carino che avevo in mente credo, quasi sicuramente, rimarrà nella mia mente.
E' andata così: le mamme sono rimaste abbastanza indifferenti, le maestre invece si sono mostrate interessate e, dopo aver fatto qualche rilievo tecnico, hanno espresso la loro disponibilità se il preside fosse stato d'accordo.
Vero che ho avuto l'impressione di una certa condiscendenza ma lì per lì, non c'ho dato peso.
Il giorno dell'incontro col preside, ho esposto anche a lui la richiesta e la sua prima reazione è stata di un certo sconcerto: "signora mi coglie impreparato, dovrei controllare se la cosa è permessa"
e io "dal regolamento no, ho già controllato" (poco astuto da parte mia, ma almeno si sarebbero evitate inutili perdite di tempo), 
"tuttavia il regolamento potrebbe essere modificato...si mi debbo informare", continua lui, 
"si mette bene", penso io 
ma ecco la pugnalata alle spalle della maestra "però vede preside, io la signora la capisco, anche io quando ho avuto i miei figli all'asilo ero come lei molto preoccupata, però per i bambini questo via vai di genitori...("e se me lo dicevi subito non era meglio?", penso io) che interaggirebbero anche con gli altri bambini..." 
E il preside subito "in effetti signora lei deve pensare che anche una frase innocua che so -ma che belle guanciotte che hai!- può essere vissuta male da un bimbo che non è il proprio figlio". 
E' stato difficile evitare di farmi una bella risata (magari con grugnito) all'udire questa cosa che, a pensarci bene, invece, è un po spaventosa tuttavia ho cercato di ribattere parlando di "atteggiamento aperto ma rispettoso verso gli altri bambini" ma a quel punto questioni serie, come quella della caldaia o quella delle pulizie, già incalzavano le pragmatiche mamme e dunque il mio progetto è rimasto così, nel limbo del "vedremo".
"Vabbé c'ho provato", ho pensato lì per lì concentrandomi su problemi di budget  e straordinari negati di cui, francamente, non mi importava niente. In realtà c'ero rimasta male.
Comunque ho avuto modo di rimanerci peggio: al momento dei saluti il preside mi fa: "lei signora è un po apprensiva, però debbo documentarmi...noi abbiamo l'autonomia, quindi possiamo fare quello che riteniamo più opportuno;  debbo controllare se fanno qualcosa si simile in Finlandia o in Norvegia".
Cioè: il fatto che un direttore (didattico, sanitario, amministrativo ecc) guardi all'Europa in cerca di ispirazione è di per sé confortante. Del resto qui parliamo di uno che ama il suo lavoro, che parla con i genitori e che ha in mente progetti di orti in cui i bambini potrebbero coltivare insalata da rivendere al mercato la domenica. Un progressista! Finlandia e Norvegia permettendo.
E poi non sono più apprensiva di quelle mamme che sento ripetere a giorni alterni "mi sono arrivate delle voci su quella maestra...attenzione eh!". A parte che pure a me sono arrivate voci (da Matteo, fonte attendibilissima) che pare che il direttore si porti via i bambini cattivi (alla faccia delle guanciotte), comunque io mi fido della professionalità delle nostre maestre; i tristissimi eventi che purtroppo sono accaduti in alcuni nidi e asili italiani, voglio considerarli come aberrazioni, fatti eccezionali e mostruosi. Nulla a che vedere con Matteo e la sua vita scolastica.
No, non sono apprensiva; era solo una gran voglia di tornare bambina in quello stesso asilo dove ho lasciato qualcosa di irrisolto, dove il mio primo giorno ho visto questa bambina sola (ero io, era un'altra? Che importa) nell'immenso piazzale, che piangeva e nessuno a consolarla. Era per tornare indietro nel tempo e avere una seconda opportunità. Era per crescere un po.
E vabbè: c'ho provato.

Stellocchiotto di mamma, mi ricordo che m'hai detto "io ho pianto perché volevo che c'eri anche tu con me all'asilo" e allora ho provato a chiedere alla maestra il permesso di stare un po con te; ma lei dice che non si può perché per diventare grandi i bambini, quando vanno all'asilo, debbono stare solo con le maestre e gli altri bambini. Non lo so perché ma se lo dice la maestra, sicuramente è così.
Vabbé ma a noi che importa: all'asilo si sta bene anche senza la mamma e quando torni possiamo stare tanto tempo insieme;
e poi mamma adesso fa un bel sogno in cui diventa una bambina come te e così nel sogno ti vengo a trovare e andiamo insieme all'asilo e facciamo tanti disegni molto colorati e mi fai conoscere i tuoi amichetti.
E tu, amore, pensa solo che adesso, come dice una canzone che sembra tanto triste ma invece non lo è, "dobbiamo approfittare di questi venti gelidi"* e se abbiamo freddo, possiamo coprirci ma questo viaggio lo dobbiamo fare e ti prometto che ti piacerà. Baciotto.



*e scusate se musicalmente in questo periodo sono un po monotematica ma la bravura non è mai ripetitiva.



lunedì 19 settembre 2011

Asilo o assillo?


"Attenzione a ciò che desideri...potrebbe avverarsi!"
Appunto: sono stata mesi a pensare a quando finalmente Matteo sarebbe andato all'asilo e adesso che ci va, mi domando cosa ci sia di tanto desiderabile in questo allontanamento semi coatto.
Dunque: lui sembra abbastanza entusiasta e solo oggi (seconda settimana di frequenza, sesto giorno di separazione) è voluto venire in braccio e non voleva lasciarmi andare, al momento di entrare. Per questo mi è stato concesso di accompagnarlo fino all'aula dove una maestra l'ha accolto tra le sue braccia mentre la collega mi invitava rassicurante ad allontanarmi con nonchalance. Fortuna che sulle scale ho incontrato Lola  la "cuginetta, amichetta, bimba come me" di Matteo e mi son detta -dai, dai esci di qui e pensa ad altro-.
Sembra facile, ma mica lo è. Io sto sempre a pensare a Matteo. Al fatto che sta vivendo "l'incontro col gruppo dei pari", un evento che sta alla sua crescita sociale come il primo passo sta a quella fisica, e a me non è permesso assistervi. 
Che rabbia che ho dentro! Verso le maestre soprattutto che pensano di risolvere le materne apprensioni con un "è stato bravissimo, non si è visto né sentito" mentre proprio con frasi del genere aumentano l'apprensione di un certo tipo di genitori, genitori che invece, quando si tratta dei loro figli e della loro crescita, non si fidano di nessuno, vogliono vedere con i loro occhi un po per senso del dovere e molto per piacere. Ecco perché io,  queste maestre, le invidio, anche. Quanti sorrisi mi sto perdendo? E quali entusiasmi? E quale giallissimo dipinto avrà fatto Matteo venerdì, che il suo grembiulino era tutto macchiato?
Che rabbia che ho dentro! Verso la Scuola italiana che sulla carta è tutto un "cooperazione scuola-genitori", "offerta formativa" "armonizzazione dei vissuti infantili" ma poi quello che arriva ai genitori è "sbrigati ad uscire da qui ché noi abbiamo da lavorare anzi no, non entrare proprio che a tuo figlio ci pensiamo noi".
Io questa cosa la sto vivendo come una violenza, una specie di abuso di potere legittimato da convinzioni pedagogiche vecchie e discutibili. Nel paese che ha dato i natali alla Montessori. Che tristezza!
Io su questa cosa ci sto riflettendo seriamente: sto elaborando un progetto che sottoporrò alle maestre prima e, se riesco a convincerle, al direttore didattico il cui intervento è necessario poiché dovrebbe introdurre una modifica al regolamento di istituto. 
E' molto semplice: si tratterebbe di permettere a due di genitori di altrettanti bambini di entrare in classe un giorno a settimana (preferibilmente il venerdì) durante gli ultimi trenta minuti di lezione, per soli dieci minuti e di poter passare questo tempo in classe coi loro figli. Si avrebbe così la possibilità di vederli all'opera nell'ambiente della classe, in interazione con i compagni, con oggetti e regole diverse da quelle di casa. Il bambino avrebbe la possibilità di dire "guarda mamma/papà che cose importanti faccio mentre sono lontano da te". Si darebbe ai piccoli la possibilità di sperimentare che quelli che per loro sono estranei, per altri sono persone significative e amate, cosa che spesso i genitori fanno fatica a comunicare ai propri figli. Nella migliore delle ipotesi ci si potrebbe avvalere della professionalità delle maestre per sottoporre dubbi e domande per i quali sembra non ci sia mai tempo. Chiaramente i genitori ospiti non dovrebbero mai intralciare l'attività di maestre e bambini né imporre la loro presenza agli altri piccoli. Chiaramente ci sarebbe un registro da firmare per garantire la "rintracciabilità" degli ingressi.
Insomma sto cercando di pensare a tutti gli aspetti logistici e soprattutto alle possibili obiezioni. E, più articolo, più mi viene il dubbio che l'unico, insormontabile scoglio sarà: -signora ma perché dovremmo creare tutto questo trambusto?-. 
Infatti perché? Si fa prima a pensare che sono i genitori quelli capricciosi, che devono imparare a fidarsi e ad affidare i loro bambini, che inizia adesso la dolorosa accettazione dell'alterità dei loro figli, che le cose son sempre andate così e che motivo c'è di cambiare.
Ok lo concedo: l'unico motivo è l'amore di un genitore per suo figlio, il suo volersi sentire chiamato in causa personalmente e predominantemente in ogni aspetto della sua vita; sarà poco e poco importante ma loro dovranno concedere a me che un genitore felice mette in moto potenzialità incalcolabili in un bambino, e questo paese ha bisogno di grandi bambini. 
Io ci provo.


venerdì 9 settembre 2011

Degustazioni letterarie: "Enigma in luogo di mare" Fruttero & Lucentini

"Il frutto, ammette con un sorriso, è talvolta davvero durissimo, lo si sente perfino attraverso la punta di una robusta scarpa. Un brav'uomo, povero Bonanno, ma non per questo meno pericoloso, anzi. Meglio non pensare alle sue iniziative nel campo dell'agricoltura e foreste; uno che, non per arroganza ma per mera cecità, è stato capace di piantare 45 tuje alla Gualdana, uno così insensibile alle discrepanze botaniche, non esiterebbe in perfetta buona fede a riempire Roma di abeti, a spargere cipressi nella campagna lombarda, lungo le rive del Nilo. Un pasticcione, un seminatore d'incongruo...
Solo però quando rientra in casa e si siede annoiato sul sofà aspettando l'ora del "trattenimento musicale", il Monforti prova a immaginare cosa succederebbe se Bonanno fosse membro della commissione parlamentare dei puzzle. Mescolanze impossibili di palme e di pini, di cammellieri e benzinai, di sabbie e grattacieli, che sarebbero allora ben più difficili da distinguere, separare, scoprporare. Forse in qualche iniziatico negozio di Londra già esistono giochi così preparati, o più semplicemente esistono fanatici del difficile che comprano due, tre, cinque puzzle senza immagine, vuotano i sacchetti sul tavolo e li rimestano e confondono alla cieca, un Rembrandt con una veduta di Grosseto con la vetrina di un supermarket con un ghiacciaio svizzero. Non sarebbe questa del resto un'immagine più fedele della vita, gioco d'infinite sovrapposizioni e contaminazioni, di inestricabili escrescenze e ritagli anomali come i topi di Bonanno?
Ed è in fondo proprio lui, l'onorevole, a suggerire al Monforti la prima idea della procedura da seguire per raccapezzarsi tra gli enigmi della Gualdana. Perché tutto a un tratto il teorico della pigna appare estricabilissimo. Non uno dei pezzi del suo mistero può concepibilmente combaciare con gli altri, combinarsi in qualsiasi modo con Delaude, con Orfeo, con gli Zeme, col Romito, con Katia. E' un mistero che si può, si deve espungere da tutto il mucchio eterogeneo dei ritagli. E' un intruso, un abusivo, venuto come le tuje a creare incongruenza e di cui occorre sbarazzarsi al più presto. La procedura dello scorporo, ecco ciò che serve per cominciare a vederci chiaro."


Bello questo giallo dove si viene investiti da una serie di vicende relative ad una strana comunità di vacanzieri fuori stagione. Tutto potrebbe costituire un enigma, all'inizio, tanto che la domanda vera è: "qual'è l'enigma?". La risposta a questa domanda arriva per gradi e si porta dietro la soluzione del mistero principale e di quelli accessori tramite una narrazione leggera ma per niente piatta. La via italiana al giallo passa anche per libri come questo dove proprio la lingua italiana, con le sue inesauribili potenzialità espressive, costituisce un valore aggiunto. Libri come questo riescono a far sperimentare "il piacere della lettura" anche a chi non lo conosca.
Unico consiglio: a dispetto del titolo, non portatevi questo libro in spiaggia, aspettate invece il primo fresco autunnale, sicuramente la lettura sarà più piacevole.


mercoledì 24 agosto 2011

Zio Isidoro

Ad agosto siamo nati mio padre, mio fratello ed io; agosto sta però diventando il mese degli addii: quattro anni fa   quello all'uomo che sarebbe diventato mio suocero, oggi quello a zio Isidoro.

Zio Isidoro, ci si potrebbe scrivere un romanzo sulla sua vita e partirebbe dalla sua morte. Quando sono arrivata io era a terra all'entrata della sua stalla, mamma gli sorreggeva il busto e la testa, alle loro spalle le caprette erano agitate ma silenziose, qualche formichina si avventurava sui suoi pantaloni. E il suo cuore era irrimediabilmente fermo.
Ma come: in mattinata eravamo stati dal cardiologo -Isidoro stia tranquillo, l'affanno che sente non dipende dal suo cuore. Ci vediamo lunedì mattina per la cardioversione -, e a me -signora mi faccia sapere i valori dell' INR di domani e gli faccia fare anche un emocromo-. E solo sei ore dopo zio è caduto a faccia avanti dopo aver riavvolto la corda che aveva sciolto dal collo di una capra; l'ultimo gesto della sua vita che mia zia ha avuto la fortuna di osservare da una ventina di metri di distanza. Quando gli è arrivata vicino, già lui non reagiva più.
Ed erano due mesi che non si occupava più dei suoi animali, quel giorno ha deciso di andare e chissà se zia si è convinta che se avesse insistito per farlo rimanere a casa adesso il suo senso di colpa sarebbe ancora maggiore.
E non basta dire - in fondo aveva 84 anni ed era stanchissimo di vivere- perché è stato un ingranaggio della mia vita e con lui è come se un pezzo di questa vita se ne sia andato.
Ho sempre considerato un privilegio poter ascoltare i racconti del passato. Storie di quando il nostro paese era diverso: povero, ignorante e durissimo. Zio Isidoro era un abilissimo narratore, specializzato per lo più in storie leggere, amava scoprire e imitare i tratti comici delle persone che conosceva, sapeva però essere serissimo quando ricordava la difficoltà di essere il primogenito di sette fratelli (lui venticinque anni, la più piccola nove) che hanno appena perso il padre, poveri e con una madre dalla salute cagionevole. -Eppure è andata, sarebbe potuta andare meglio se mi avessero ascoltato, ma è andata- questo sembrava sottointendere alla fine di ogni racconto. Zio Isidoro amava la vita e il suo lato allegro prima di tutto, amava ridere e far ridere. Memorabile la volta in cui, in trasferta per lavoro in un vicino ma isolato paese,  lui, un omone di 90 chili per un metro e ottanta di altezza, fece credere a tutti di essere un povero marito picchiato e deriso dalla perfida moglie, suscitando la virile solidarietà degli uomini, pronti ad ospitarlo a casa loro e l'indignata reazione delle donne che volevano partire per una spedizione punitiva nei confronti dell' ingrata moglie.
E il suo coraggio: -quando lavoravo mi eleggevano sempre rappresentante sindacale, perchè io dicevo le cose che non andavano, non avevo paura di parlare con capi reparto e ingegneri anche se non avevo studiato e parlavo in dialetto. E finchè i problemi non venivano risolti, io non li lasciavo in pace-.
Spesso mi sono domandata come sia potuto saltar fuori Zio Isidoro, con il suo coraggio e la sua allegria, da un ambiente tanto difficile? Chi ha fatto il miracolo?
E sarebbe bello trovare la risposta giusta perché la morte ci danza accanto e la vita si  ripete e altri bambini stanno per perdere il loro papà. E i più piccoli, undici e sette anni, mi fanno una tenerezza straziante mentre aspettano che il loro papà torni dall'ospedale e io non ho il coraggio di prepararli all'eventualità di un esito diverso. -Non tocca a me-, mi dico -sono solo una conoscente- però intanto sto lì, a raccontare di Matteo al mare, a lamentarmi dell'afa e ad aspettare che torni la mamma dall'ospedale. A far capire che so ascoltare e che si può parlare di tutto con me.

Ma dimmi zio Isidoro: tu lo sai come si fanno i miracoli?


lunedì 22 agosto 2011

Sola!


Ho sempre abitato in alta collina, il mare non mi appartiene. Tendenzialmente il mio campo visivo ha bisogno di un limite che non sia l'orizzonte piatto, il limite che preferisco sono i profili delle montagne. La prima volta che ho attraversato la pianura padana, avrò avuto tredici anni, ho rischiato un attacco di panico: pianura a perdita d'occhio, ma che pianeta è? Adesso, che di paure reali, concrete, ne ho vissuto un discreto numero, mantengo sempre l'autocontrollo, a prescindere dal panorama.
Dunque questi tre giorni al mare avrei potuto anche farli e invece sono rimasta a casa mentre il gigantino e papà camp sono ospiti di mia cognata e del suo compagno che ha una casa in una località in della costa laziale.
"Ecco amore mio: andate e divertitevi che io, in questo momento, ho altre cose a cui pensare, lo sai. E poi non era il caso di insistere troppo, date le circostanze. Anche se...chissà Matteo al mare..."
"appunto insisto, anche a me non va tanto, giusto per lui"
"allora andate, io davvero non me la sento".

No, non ce la potevo fare: costumi, depilazione, creme e cremine, chiacchiere allegre, urla schiamazzi e tanto divertimento.
Non è il momento che adesso "voglio dedicarmi un po a zia" e "così mi riposo un po", "poi ho tante di quelle cose da fare" [!!!] che tanto "tre giorni passano in fretta".

Invece è dura: nove ore che non li vedo, li ho sentiti già tre volte e mi mancano tantissimo. E quando passano tre giorni?!
Però a Matteo l'ho spiegato bene perché non sono con lui difatti è partito tranquillo e, finora, non mi ha ancora chiesto di raggiungerlo. Oggi gli ho chiesto "e allora: com'è il mare?" e lui "Salato".
Ok, ok: va tutto bene. Per ora.

martedì 19 luglio 2011

Porca miseria...

Io a quest'ora dovevo essere reduce da una festa di musica e amici, con le orecchie ancora stordite e la mente a quel pezzo riarrangiato che solo dal vivo lo puoi sentire e che dopo un po di giorni inizi a dimenticare ma ti ricordi che era perfetto; 
esaltata dall'energia e dalla bravura, 
e invece
macché!
Va bene tutto ma a decidersi di controllare queste benedette date e scoprire solo oggi che era proprio oggi ...
e porca miseria!
Cioè stiamo parlando di questo signore qui e dei suoi degni musicisti:


dal vivo...
porca miseria!
E si che gli amici li puoi pure un po trascurare ma così è troppo.

venerdì 15 luglio 2011

Pipì, popò, papà!

Dunque: è estate, Matteo ha trentuno mesi, a settembre andrà all'asilo: è ora di provare a togliere il pannolino!
Veramente abbiamo già iniziato anche se "a tratti" cioè l'abbiamo tolto per due o tre giorni (non consecutivi) e solo per cinque o sei ore. Dice che in caso di spannolinamento  è meglio iniziare per tutta la giornata e rassegnarsi ad una decina di giorni di vita anfiba. Dice che altrimenti al bimbo si confondono le idee. Dice che i maschietti ci impiegano un po di più rispetto alle femminucce. Dice...ma a qualcun'altro, evidentemente.
Matteo difatti non trova minimamente utile privarsi di questo fedele amico e non ha ancora il più vago sospetto che tutta quell'operazione di pipì che all'improvviso salta giù potrà un giorno essere da lui diretta. Dunque non mi pare il caso di privarlo di colpo della tranquillità che il pannolino (per quanto odiato, soprattutto al cambio) gli concede, almeno finché anche io non mi sarò chiarita le idee.
Non si tratta dei soliti dubbi su come si fa e come ci si organizza (cose, peraltro, che si capiscono solo quando si coinvolge il bambino) quanto piuttosto di un groviglio emotivo che lo spannolinamento mi suscita nella misura in cui ha a che fare con l'uso e la manutenzione del sistema urinario maschile.
Un anno e mezzo fa papà ha subito un intervento per cui, il suo, è stato totalmente azzerato e per questo modo ancora un po rudimentale che ha la medicina moderna di curare alcune malattie (e fortuna che comunque c'è) ha dovuto rimparare a fare pipì. Di tutto quello che serve alla manutenzione di questo nuovo apparato mi occupo io tutti i giorni. Quando penso che tutto questo andrà avanti per il resto della sua vita mi viene la stessa vertigine che provo quando penso che l'universo è infinito. Non è per me, rifiutare questa incombenza giornaliera è il modo che papà e mamma hanno di non arrendersi alla malattia ma so bene che, se se ne presentasse la necessità, saprebbero cavarsela, è proprio per mio padre che mi dispiace; il fatto è che lui è già tormentato di suo (a dire il vero una delle persone più tormentate che io abbia mai conosciuto) e questa proprio non gli ci voleva e non riesco a non pensare al bambino che è stato, alle sue conquiste e a come la vita è strana.
Ho ancora dei sensi di colpa per non aver potuto seguire questa cosa all'inizio: penso che se non fossi stata totalmente presa da Matteo, magari saremmo arrivati prima alla diagnosi e dunque non si sarebbe presentata la necessità di un intervento così devastante. Ma oggi all'improvviso mi è venuto in mente quale fortuna sia stata per noi che questo bimbetto ci fosse. E' stata la vita che ha tenuto fuori la morte.
Festeggiare il primo compleanno di Matteo con lo spirito con cui l'abbiamo fatto è stato come cantarle in faccia: "Vai via, adesso è tempo di cantare e ballare, non ancora il tuo".
Per non parlare della vitalità che un bambino sparge attorno a se, questo suo modo di apprezzare la vita nei suoi aspetti più semplici. Io lo vedo, papà, coi suoi nipotini: si impegna talmente tanto a renderli felici che alla fine lo diventa anche lui. E non importa se poi la gioia finisce perché il sorriso di un bambino è una cosa di cui non ci si stanca mai, soprattutto se hai da recuperare tutti quelli che non hai fatto quando eri tu, bambino. 
Groviglio emotivo, appunto. E allora, in deroga alle più ragionevoli e sensate pratiche di spannolinamento, ho deciso di prenderla con calma; stiamo lavorando al metodo camp per lo spannolinamento sostenibile: sono previste soste, momentanee interruzioni nonché l'utilizzo di qualsiasi mezzo ritenuto idoneo da mamma camp ad evitare inopportune crisi di vertigine.
I piani si confondono così come le figure: papà e Matteo alle prese con la normalità che non c'è più e con quella che ancora non si riconosce tale.
Che strana la vita.


giovedì 7 luglio 2011

Domande

Ecco ci siamo: è iniziata la fase delle domande! Solo che Matteo che è un pò, come dire, unconventional (per dire che per far suonare uno xilofono non usa l'apposito martelletto ma lo adagia sul divano e poi ci salta vicino) non ha iniziato a minare l'equilibrio psichico della sua mamma col caro e rassicurante "perché", applicato, mi dicono, a  qualsivoglia evento della vita, quanto con la seguente, unica e a tratti indiscreta domanda:
"mamma sei filice?"
E' iniziato tutto quando ha capito che farmi questa domanda mi "richiamava all'ordine emotivo" quando mi arrabbiavo per qualcosa che aveva fatto. Che furbetto: prima versa l'intero flacone di bolle di sapone per terra, al che io lo sgrido, lui sopporta diligentemente e poi:"mamma sei filice?" 
Allora mamma, che proprio non sopporta quell'espressione da libro cuore tipo "che il mio papà e la mia mamma non abbiano mai a soffrire per causa mia", fa un bel respiro profondo (ma mentalmente sennò confermerebbe le ansie del pargolo) e afferma: "ma si che sono felice però non si butta tutto il sapone per terra: adesso non possiamo fare piu le bolle". Il piccolo allora conviene sulla sensatezza della risposta, invia un breve e intenso sorriso rassicurato e rassicuratorio e torna a giocare.
Ecco è iniziata così ma adesso la fatidica domanda è pronunciata a ogni minimo ma durevole mio cambiamento d'umore che viri verso toni scuri dipendendo da stanchezza, tristezza o malinconia.
Insomma non è che posso sempre rispondere che sono felice perché alle volte semplicemente non lo sono; potrei mentire spudoratamente ma Matteo è mio figlio e mi capisce, forse anche meglio di quanto io capisca lui, mi sgamerebbe subito.
Allora quello che provo a dirgli è: "Stellochietto di mamma, non si può essere sempre felici soprattutto mano a mano che si diventa grandi. Tu sei un po piccolo e un po grande ecco perché sei più bravo di mamma ad essere felice".
Siamo fermi qui dato che ancora non trovo le parole per fargli capire che la sua felicità non dipende dalla mia perché, più in generale la felicità non dipende da quello che  possiede altrimenti correrebbe il rischio di perderla continuamente e del resto non dipende neanche da quello che non ha perché cosi correrebbe il rischio di non raggiungerla mai.
Magari è ancora troppo presto. 



lunedì 13 giugno 2011

Grazie!

"La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione."




Grazie Popolo Italiano.



martedì 7 giugno 2011

Perché voterò "si" al referendum sul nucleare

Io rifiuto l'energia nucleare sostanzialmente per una mia convinzione filosofico esistenziale nonché per aver vissuto la tragedia di Chernobyl quando ero solo una bambina; frequentavo le scuole medie, all'epoca, ed è stato un brutto periodo, pieno di paure e incertezze; ricordo la nostra insegnante di educazione fisica che ci ripeteva in continuazione di togliere le scarpe prima di entrare a casa perché con esse raccoglievamo radiazioni. A pensarci adesso mi viene da sorridere per l'ingenuità di questa donna che pensava "la casa" come un luogo sicuro, da non contaminare. 
Nei mesi seguenti iniziò uno studio serrato delle problematiche nucleari e delle energie rinnovabili (allora si definivano così) che ci portò a padroneggiare termini come "fissione" o "fusione" e a vagheggiare di un giorno in cui la mente umana sarebbe riuscita a domare l'atomo riuscendo a ottenerne energia senza produrre radiazioni.
Oggi scopro che questo sogno è  forse stato realizzato (http://it.wikipedia.org/wiki/Fusione_nucleare_fredda) ma la cosa non mi entusiasma come allora perché adesso so che non sempre si sceglie la via migliore, anche se la si vede chiaramente davanti a sé.
Difatti eccoci qui, dopo venticinque anni, a riparlare di sicurezza del nucleare (le "nuove" centrali sono sempre "più" sicure di quelle vecchie -come se le nuove centrali di trenta anni fa non siano diventate nel frattempo vecchie- ma mai sicure "in assoluto"), e del fatto che per renderci energeticamente indipendenti la via maestra sia il ritorno all'energia nucleare.
Venticinque anni in cui i sogni dei decenni che eravamo sono stati deliberatamente ignorati. Oggi scopro che pensare ad una politica energetica che non contempli l'opzione nucleare non è un poetico idealismo: nazioni europee civilizzate e industriali non solo non usano energia nucleare ma stanno già pensando di realizzare un futuro privo di fonti fossili con benefici economici oltre che ambientali; sono cambiamenti difficili e lunghi da realizzare ma possibili, per chi ci crede.
Ma in Italia non ci crediamo perché, da noi, per circa venti anni non si è fatto niente poi, costretti dall'Europa, ci siamo detti "sveglia!" e finalmente l'attuale governo ha trovato la quadratura del cerchio: il caro vecchio nucleare, appunto.
E stavolta, se non passa il referendum, non si tratta di continuare ma di ricominciare daccapo su una strada costosa ed obsoleta; tuttavia i nostri lungimiranti politici hanno tutto chiaro: dopo lunga e tormentata analisi hanno deciso che sarà l'Areva a costruire almeno quattro reattori di tipo EPR in giro per l'Italia.
Hanno creato insieme ai francesi di EDF la  "sviluppo nucleare srl" con lo scopo di "sviluppare il progetto in tutte le sue fasi necessarie ad arrivare alla decisione finale di investimento, e.g. lo screening dei siti, gli studi di fattibilità, la preparazione e il supporto per le attività di concessione di licenze e permessi. Fa parte delle responsabilità di SNI anche la costituzione di società ad hoc per la costruzione, proprietà e messa in esercizio di ciascuna centrale EPR."  (http://www.sni.enel-edf.com/it-IT/chi_siamo/).
Hanno pure pensato a riaprire il dibattito pubblico sul nucleare  con la creazione insieme ad altri del forum nucleare italiano.
Ma soprattutto hanno emanato la legge che con questo referendum avremmo dovuto scegliere se abrogare o no, se non fosse che adesso il quesito è cambiato e alla fine le cose si sono terribilmente ingarbugliate.
Quando lo dico io che il nucleare è troppo complicato...
Ed è costoso, al di là di ogni previsione ma soprattutto non è sicuro anche quando ad occuparsi della costruzione delle centrali è una multinazionale con provata esperienza nel settore come l'Areva. Prima di andare a votare per il referendum sul nucleare (e prima di decidere di non andarci) è bene riflettere sui costi non solo economici che potremmo dover pagare.
Ne vale veramente la pena?
Da mamma mi chiedo se non sarebbe ora di iniziare a costruire un futuro energetico diverso per i nostri figli.



martedì 31 maggio 2011

Una mamma speciale


Ho conosciuto una mamma speciale:
la mamma di un ragazzo di vent'anni che è rimasto un bambino
e lei lo porta in giro con la macchina
"perché a lui piace guardare le cose dal finistrino
così si tranquillizza, ed è più calmo e sta  meglio"
ma poi parcheggia vicino alle giostre e lo sprona ad uscire
"perché ha tanto bisogno di muoversi per rinforzare i suoi muscoli,
per prendere un po di sole e giocare con gli altri bambini" diversi ma uguali a lui
"perché a lui piace tanto giocare insieme agli altri
ma oggi è solo la seconda volta che veniamo qui e allora non si sente sicuro".

Ho conosciuto una mamma speciale:
perché mi ha fatto avvicinare al suo bambino
e mi ha raccontato con generosità la sua storia:
i dubbi, i sensi di colpa, la serena accettazione,
ma anche la fatica "perché è faticoso sai, soprattutto da quando non c'è più il papà".

Ho conosciuto una mamma speciale perché
nonostante tutto
ha il viso sempre sorridente e indossa una maglia piena di fiorellini rosa
e quando le fai maldestramente notare che però ancora sorride
ti guarda perplessa come se questa fosse la cosa più naturale per lei
e all'improvviso sei tu a ritrovarti con gli occhi pieni di lacrime.

Ho conosciuto una mamma speciale 
perché "sai io non sono mai stata troppo apprensiva
neanche con gli altri due figli:
li ho fatti sempre muovere liberamente e giocare anche con la terra
perché è importante e anzi, adesso che è caldo lo porterò sui prati
e lo farò sdraiare per terra
perché ha bisogno di tanti stimoli".

Ho conosciuto una mamma speciale perché
sarebbe rimasta ore a chiacchierare ma
"adesso si è stancato di aspettarmi"
perché "quando io ho da fare mi lascia fare ma
come vede che mi rilasso
allora arriva, prende i mie piedi, li sposta dal divano e li poggia per terra
e invece, questo furbacchione, quando sta con la sorella,
non fa tutte queste storie, con lei sembra un soldatino
ma, si sa, delle mamme i figli si approfittano sempre un po".

Ho conosciuto una mamma speciale perché quando pensa al futuro
forse si augura di sopravvivere a suo figlio.

Ho conosciuto una mamma che ha imparato ad assere speciale
perché il suo bimbo è speciale
e lei è la sua mamma.


sabato 28 maggio 2011

Sogni (2)


Qualche notte fa ho fatto un sogno, uno dei pochi che lasciano traccia nella mia coscienza. Per  la verità ricordo solo l'ultima scena, poi mi sono svegliata per l'emozione; ebbene in questo memorabile sogno riuscivo a fare una cosa che mi piacerebbe tanto saper fare ma non mi viene proprio, in stato di coscienza, che poi è possibile perchè, appunto, mi sono svegliata nell'atto di...
GRUGNIRE! Come un maialino.
Il fatto è che lo fa il gigantino, l'ha imparato guardando questo simpaticissimo cartone animato, che è il suo preferito (ohibò: guardiamo la televisione ma, poco e, solo in ultima analisi) forse perché alla fine si fanno tutti delle gran belle risate; comunque, grugnisce veramente bene, a volte commentando le avventure di Peppa, a volte così, a sottolineare momenti di vita.
E io, che ricordo scene di sogni una  volta ogni due mesi circa, ricordo me stessa nell'atto di sognare di grugnire e un po sento anche il suono che IO, mica qualcun altro, sto facendo per davvero.
Soddisfazione!
Che dura l'attimo che ci mette una porta a chiudersi per un'improvvisa folata di vento.
I sogni son desideri, si diceva, e allora com'è che una mamma a tempo pieno si ritrova a desiderare di grugnire invece che una lista così (peraltro idealmente già scritta) di altre cose più pertinenti al suo "stato" mentale, fisico, (a)sociale, etc, etc?
Ottima domanda. Ma migliore è la seguente: che tipo di gioia dà grugnire felici al mondo, pensare o forse fare e basta, senza pensare preventivamente, un bel grugnito e ridere tutti felici e soddisfatti?
Guardando Matteo, direi gioia pura, piena e spensierata; decisamente uno stato d'animo desiderabile.
Io faccio sogni piccoli ma grandiosi, dicevo...


venerdì 20 maggio 2011

Assaggi di saggi:"Imparare la matematica prima dei tre anni" - La rivoluzione gentile - Glenn Doman, Janet Doman



"Ci sono due motivi di vitale importanza per cui i bambini dovrebbero fare matematica. Il primo motivo è quello più ovvio e meno importante: fare matematica è una delle funzioni più sofisticate del cervello umano; di tutte le creature sulla terra, soltanto gli esseri umani riescono a fare matematica. [...] Il secondo motivo è anche più importante. I bambini dovrebbero imparare la matematica all'età più precoce possibile perchè influisce sulla crescita fisica del cervello stesso e il prodotto di questa crescita fisica è quello che noi chiamiamo intelligenza.

Quegli educatori e psicologi che dicono che non dobbiamo insegnare ai bambini per non rubare la loro preziosa fanciullezza costringendoli ad apprendere, non ci dicono niente sull'atteggiamento dei bambini nei confronti dell'apprendimento, ma certamente ci dicono molto su ciò che loro stessi pensano dell'apprendimento.
I genitori non debbono mai dimenticare che imparare è il gioco più eccitante della vita, non è un lavoro.
Imparare è un premio; non è una punizione.
Imparare è un piacere; non è un lavoro ingrato.
Imparare è un privilegio; non è una privazione.
I genitori dovrebbero tenerlo  sempre bene a mente e non dovrebbero fare nulla che possa distruggere questa naturale predisposizione del bambino.
C'è una legge per non fallire che non dovete mai dimenticare: se voi non vi divertite e il vostro bambino non si diverte, smettete. State facendo qualcosa di sbagliato.

Ora che il segreto è svelato, non si tratta più di scoprire se i bambini possono imparare la matematica, ma fino a che punto ci si può spingere a insegnarla. La prossima domanda, secondo noi, sarà: "Quando centinaia di migliaia di bambini in età prescolare riusciranno a imparare la matematica e quindi aumenteranno la conoscenza del mondo al di là di ogni aspettativa, che cosa faranno di questo vecchio mondo?"
Se è vero che la conoscenza porta al bene, sicuramente questo mondo diventerà un posto migliore quando i bambini avranno maggiori capacità e, di conseguenza, più fiducia in esse, tanto da riuscire a sfruttarle al  massimo per risolvere i problemi che ci circondano.
Questo, dopotutto, è quello in cui consiste la rivoluzione gentile."

I libri più difficili da leggere sono quelli che ci fanno mettere in dubbio le nostre convinzioni. Io, che pensavo che insegnare la matematica fin dai primi mesi di vita fosse difficile, inutile e dannoso, a libro letto (con la mente aperta e senza pregiudizi), debbo riconoscere che forse* mi sbagliavo.
Glenn Doman rivela il metodo per insegnare la matematica a bambini molto piccoli, fa riflettere sul perché sia opportuno farlo e adduce svariate ragione del perché questo sia per loro salutare. Quando poi profetizza di un neorinascimento dell’umanità fondato sull’intelligenza dei nostri bambini, resistere diventa davvero difficile.
E a me, che avrei voluto un mondo migliore di quello in cui viviamo per mio figlio, tocca molto l’idea di potergli dare almeno gli strumenti per cambiarlo un po’. Sono affascinata dal concetto  che bambini più intelligenti, anzi “diversamente” intelligenti (perché se questa potenzialità si stimola precocemente essa raggiungerà livelli di complessità sconosciuti alla maggior parte di noi adulti), possano naturalmente diventare adulti  migliori di quanto non lo siamo noi.
E’ come per gli extraterrestri, a volte con papà camp ne parliamo: entrambi crediamo nella loro esistenza ma lui ritiene che siano già tra noi: arrivati con l'intenzione di invaderci, viste le condizioni del pianeta, si limiterebbero ad usarci come base per ulteriori esplorazioni; io invece penso che una civiltà in grado di trovarci e arrivare da noi non possa che farlo con intenzioni buone, magari per aiutarci. Ho questa idea che il progresso scientifico si porti  dietro quello etico e morale.
*Però qui parliamo del cervello dei bambini che è si una macchina per apprendere, ma che, di norma, lo fa in contesti naturali. Il metodo Doman invece prevede che l’apprendimento avvenga in un contesto artificiale e con “materiali” artificiali. Se e come tutto questo possa incidere negativamente sulla salute del bambino e sullo sviluppo di altre abilità, non è dato sapere. Purtroppo (e, spero, solo per mia imperizia) non ho trovato alcuna traccia di studi al riguardo. Eppure sono decenni che questi metodi vengono utilizzati in tutto il mondo! 
Peccato.
Da mamma timorata della complessità del cervello umano e consapevole di quanto poco ancora ne sappiamo, ho deciso che il gigantino ed io ci limiteremo a (ri)avvicinarci alla matematica quando il nostro cervello sarà già irrimediabilmente vecchio...ancora non ce la sentiamo di diventare extraterrestri!



lunedì 9 maggio 2011

Luna: crescente!

Da mercoledì scorso la luna è in fase crescente e io sto verificando questa ipotesi: che il mio equilibrio emotivo migliori nella fase di luna nuova per gradualmente peggiorare quando la luna è in fase calante. Sarebbe questa una cosa singolare, si vede che a me, quantità crescenti di ossigeno fanno male.
Ma da giovedì anche Luna è crescente: la cucciola non è più tale; anche lei come ogni femmina di mammifero ha raggiunto la pubertà. Accipicchia, appena arrivata e subito in piena adolescenza!
E si che lei è già di suo molto esuberante, ed è indisciplinata anche se quando la lodo assume una posa e un'espressione compiaciute come se non aspettasse altro che l'occasione per sentirsi dire: "brava, brava".
Le ho insegnato seduta e adesso stiamo lavorando su  prendi, dai  anche se ancora con la "ricompensa", che senza non mi si fila proprio; riesco a spazzolarla facilmente e ho tranquillamente accesso a tutti i suoi spazi e oggetti però ancora non riesco a togliergli l'osso dalla bocca (è troppo veloce a scappare); a meno che non sia particolarmente attratta da qualche odore, "mi segue" abbastanza quando usciamo; l'ho lasciata libera solo una volta e lei ha iniziato a correre in maniera buffissima: sembrava saltellare come un cerbiatto; di solito la tengo al guinzaglio e stiamo imparando a coordinare le nostre andature ma quando corriamo ha una potenza e una velocità davvero eccessive per me.
Insomma ce la possiamo fare e io mi sto affezionando a lei.
C'è solo un problema: tutto questo avviene in assenza del gigantino perché i due non si prendono proprio. Di fondo l'una è intimorita dall'altro e viceversa. E' iniziato tutto perché Luna salta addosso alle persone per salutarle o giocare con loro; chiaramente il gigantino, per quanto tale, non gradisce la cosa e, benché lui stesso   sia grande estimatore e cultore della medesima "arte del salto" ( quando annuncia "mamma adesso io DEvO saatare" poco si può fare per dissuaderlo), lungi dal riconoscere nella collega la stessa dedizione e passione, se ne sente minacciato e adotta un atteggiamento di difesa-attacco che disorienta Luna, che a sua volta si innervosisce e così via.
Insomma meglio tenerli lontano almeno fino a quando Luna non capirà di potersi e doversi fidare di me e finché non riuscirò ad insegnarle a tenere giù le zampette da Matteo (inutile dire che aspetto con ansia ogni consiglio su come riuscire nell'impresa, Plò penso soprattutto a te).
Però che sfortuna: nonostante le loro incomprensioni i due si cercano continuamente e quando  guardo Matteo interagire con altri cani più calmi e lo vedo accarezzarli tranquillo e sicuro mi dico: "ti pareva che una cosa, ma una sola, potesse essere semplice nella vita dei tenaci ma anche fallaci campeggiatori? E no, vedi mai rischiassero di annoiarsi!"
Tuttavia, sarà la luna nuova, sento che ce la possiamo fare,
in futuro,con impegno.

domenica 1 maggio 2011

Comunicazione di servizio: onda nera persistente

Come da titolo post si avverte che mamma camp è attualmente travolta da un'ondata di negatività che assume le forme di umor nero, facile irritabilità, stanchezza atavica e malesseri fisici generalizzati; avendo tutto ciò (si spera momentaneamente) trasformato la scrivente in una specie di zombi di genere femminile affetto da isteria, la stessa ritiene opportuno avvertire che potrebbe latitare a tempo indeterminato dalla sua attività di blogger saltuaria. Per le ragioni sopra esposte potrebbero altresì verificarsi spiacevoli quanto inattesi crolli quantitativi e qualitativi in relazione all'attività di commentatrice.
La scrivente si scusa anticipatamente e preventivamente, consapevole, peraltro, che in tali frangenti è indicato e caldamente raccomandato un adeguato periodo di quarantena al fine di evitare il diffondersi del contagio.

La negatività è contagiosa: basta abbassare un po la guardia e quella si insinua e più o meno rapidamente (dipende dalle condizioni psicofisiche generali) ti avvelena la vita. Io detesto la negatività, proprio non vorrei averci nulla a che fare, mi impegno molto per allontanarmene non appena la scorgo. Eppure stavolta non solo mi sono lasciata avvicinare ma mi sono fatta pure contagiare. A onor del vero va detto che la forma che mi ha colpito è particolarmente virulenta e scientemente motivata, presentandosi in fattezza di essere finto depresso, litigioso nonché vendicativo e incontentabile,  aggiungete il fatto che l'essere in questione non ha granchè da fare delle sue giornate e capirete la devastazione generale che è riuscito a portare nella mia vita. 
Accidenti come sono arrabbiata: perché gli ho permesso di avvicinarsi così tanto? Eppure sono anni che alla base del mio equilibrio psichico vige una certezza conquistata a caro prezzo: nella vita capita di avere a che fare con persone che ti tratteranno male a prescindere da come ti  comporterai con loro e le uniche cose che puoi fare sono continuare a tentare (soprattutto nel caso tu sia interessato al raggiungimento della santità) o mandarle a quel paese. Di solito propendo per la seconda opzione che, quando sia impossibile realizzare completamente, applico nella forma del distacco emotivo condiscendente ma stavolta no. Regressioni! Tuttavia, stante la certezza che una mamma a tempo pieno non può indulgere in tali stati d'animo, urge arginare l'infezione utilizzando qualsiasi mezzo messo a disposizione dall'umano scibile. 

Dunque che si canti e si balli


e dopo l'inchino al menestrello, che si continui a vivere...bene.

giovedì 14 aprile 2011

Ciao, ciao ttutto

ttu-tto è il lattuccio, non quello che sta in frigorifero ma quello delle sisotte di mamma; ebbene per scaramanzia, come dice papà camp, farei meglio a non dir niente ma l'emozione è forte: da quattro notti e tre giorni più o meno  (perché il conto mi è sfuggito) non allatto più Matteo. Dopo ventisette mesi ci siamo stettati (il termine non è elegantissimo ma sarà d'aiuto a chi cercasse in rete informazioni in proposito) e la cosa bella è la naturalezza con cui è successo. E io mi sento una mamma un po più grande e un po più leggera. Questo grande passo è stato fatto e fatto bene."


Questo è quello che avevo iniziato a scrivere poco più di un mese fa, poi c'è stata la tragedia del Giappone e ho perso l'entusiasmo e la leggerezza che volevo comunicare con quel post, spazzati via dalla tristezza e dalla paura. E' passato più di un mese, terremoto e tsunami hanno fatto più di ottomila morti e dodicimila dispersi, il disastro nucleare è ormai classificato di grado 7, il più alto, e la situazione è ancora molto critica anche perché le scosse continuano. La gioia e la soddisfazione che sono state non torneranno più e sarebbe da interrogarsi sul perché si finisce spesso per non vivere pienamente le cose belle della vita, che già sono poche, ma questo è un altro discorso...
Qui invece vorrei parlare di stettamento: l'interruzione dell'allattamento di un bimbo che ha superato l'anno di età e che per questo sarà in grado di far capire la propria opinione in proposito, con tutti i mezzi a sua disposizione. E di solito ai bambini piace molto l'allattamento, a volte (è stato il nostro caso) piace anche alle mamme tuttavia arriva un momento in cui bisogna interrompere.
Ho iniziato a pensarci quando Matteo aveva circa 18 mesi più che altro perché pensavo che così avrei potuto risolvere i suoi problemi di sonno, dato che all'epoca lo facevo addormentare allattandolo, ma subito ho capito che non sarebbe stato facile; riporto a tale proposito una delle conversazioni più inquietanti avute con la pediatra di mio figlio:

"dottoressa fino a quando è opportuno allattare un bimbo?"
"Ma l'allattamento è un processo che non si interrompe, al limite si estingue!"
"Ah, allora è il bambino che gradualmente lo estingue?"
"No, questo succede assai raramente."

Li per lì ho pensato "vabbè, rimandiamo tutto a data da destinarsi". E così ho fatto anche perché, contrariamente a quanto si possa pensare, l'allattamento prolungato è una cosa semplicissima da fare per una mamma a tempo pieno: si arriva a farlo massimo due o tre volte al giorno con la tranquilla consapevolezza che   le finalità sono solo emotive. Intanto però tuo figlio compie due anni, pesa quasi quindici chili, è lungo novantadue centimetri e tu sei diventata un'allattatrice anonima perché non ti va di sentirti dire "ma ora è tempo di smettere" "ma adesso gli potrebbe far male" (!!!) e soprattutto inizi a sentire il bisogno di mettere un po di distanza fisica e mentale tra te e tuo figlio che intanto, a volte, non si addormenta più col seno.  Allora t'azzardi ad introdurre il discorso e quando tuo figlio ti dice
"mamma tutto"
tu proponi: "ma adesso Matteo è un bimbo grande e quando i bambini diventano grandi il lattuccio finisce, non c'è più"
e lui "nooo... ttutto c'è" sicuro come la roccia. E tu lo allatti.
Coi giorni il discorso si è articolato: "ma Matteo è un bimbo grande o è un bimbo piccolo?"
"ahhh Matteo è ggrande"
e tu osi "allora adesso fa le ninne senza lattuccio come i bimbi grandi"
e lui un po arrabbiato "no, ninne senza ttutto  no". E tu lo allatti.
E poi, tanti giorni dopo: "allora Matteo è grande e fa le ninne senza lattuccio"
e lui "no, Matteo è picco"
e tu "para...." 
Poi inizia la negoziazione vera e propria: "mamma: poco poco ttutto"
"ma no amore sei un bimbo grande"
"mamma...poco poco ttutto",
e tu, colpita da tanta dolcezza: "e dai vieni qua".
Coi bimbi, si sà tutto finisce in gioco e un bel giorno dopo aver giocato a "poco poco lattuccio" Matteo si è addormentato con un nuovo rituale a cullarlo: "per fare le ninne bisogna stare con gli occhi chiusi e fermi fermi".
Fatto!
Ma tu non ci credi, "sara stata fortuna" pensi, anche se lo sai che è successo e ti dispiace averlo allattato il giorno prima senza sapere che sarebbe stata l'ultima volta perchè adesso ci vuole rispetto e non si può tornare indietro, tuo figlio è un po meno tuo.


Stellocchietto di mamma grazie per l'amore che avevano i tuoi occhi, tutto l'amore del mondo, mentre mi guardavi. E' bello aver potuto vedere una cosa così, non capita a tutti sai? Spero sia successo anche a te.
Spero che quella visione rimanga impressa da qualche parte dentro di te. Abbiamo fatto una cosa bellissima, insieme, e mamma è felice, tanto tanto. 
Bacetto!

martedì 12 aprile 2011

Sogni

Io faccio sogni piccoli ma grandiosi e, per lo più, ad occhi aperti.
Oggi ho sognato questa ragazza cantare


sulla musica di questo ragazzo


ed era un sogno, appunto.

mercoledì 6 aprile 2011

Luna


Per amore si può arrivare a fare di tutto! Purtroppo. Per amore di papà camp ho accettato di accogliere in casa Luna una cucciola di beagle di sette mesi. Papà camp la conosce da sempre e , da marito coscienzioso, non mi aveva mai parlato di questo invaghimento ma qualche giorno fa ha dovuto confessare tutto, spinto da imminente necessità: i proprietari di Luna avevano deciso di separarsene perché si erano resi conto di non potersi occupare di lei, considerando, in ultima analisi, la possibilità di portarla in canile.
Ora papà camp appartiene a quella categoria di persone che spesso riserva i sorrisi più belli e sinceri agli animali, (forse perchè solo con loro può arrischiarsi a svelare quel grande patrimonio di bontà che ha?) e proprio uno di questi sorrisi aveva, mentre mi mi proponeva di adottare la piccola Luna. Io ho provato ad oppormi soprattutto perché Matteo è ancora troppo piccolo ma non ho saputo resistere allo sguardo commosso che il mio amore ha fatto durante tutta la discussione ed eccoci qui. 
Luna è molto dolce ma anche molto indisciplinata ed io, che non ho mai avuto  un cane, mi trovo un po in difficoltà tanto più che il beagle è un cane dal fiuto molto sensibile e quindi facilmente perde la concentrazione: si direbbe che tende ad andare dove la porta il suo naso, inoltre i suoi vecchi padroni non le hanno insegnato neppure i comandi di base. Insomma sto cercando di capire come fare e meno male che ho subito trovato amicobeagle un blog pieno di consigli sensati e gratuiti che mi ha introdotto alle difficoltà ma anche alle gioie di questa razza canina e poi c'è sempre Plotina cui avrei voluto avere il tempo di chiedere cosa ne pensasse, ma il tempo non c'è stato e adesso mi limiterò a piangere sulla sua spalla in cerca di solidarietà e di qualche buon consiglio.
Intanto Matteo è, neanche a dirlo, innamorato di Luna anche se spesso lei lo fa alabiare oltre al fatto che quando gli salta addosso riesce a farlo cadere e che è tutto un continuo lavaggio di manine. Però ho notato che istintivamente tende a fare ciò che è giusto fare come passare attraverso le porte prima di lei o decidere quando iniziare e smettere di giocare. Ma sarà dura poter andare a spasso noi tre in un posto che non sia in aperta campagna. Bah, speriamo di farcela!

venerdì 25 marzo 2011

Ancora col fiato sospeso

Ci sono almeno due o tre post che aspettano in coda ma io in questo momento non mi concentro bene su niente che sia altro da quello che sta accadendo a Fukushima. E' che qui, riguardo alle stato delle cose, arrivano notizie talmente stringate da non poterci ragionare su. C'è questo stillicidio di fumate nere, schieramento e ritirata dei tecnici, impianti elettrici ripristinati ma ancora nessuno a dire "la situazione è sotto controllo".
Intanto una pennacchio debolmente radioattivo dovrebbe essere arrivato anche da noi e... sorpresa: nessuno a prendere d'assalto farmacie e supermercati! Oggettivamente ci hanno rassicurato sulla bassa concentrazione di radiazioni che sta arrivando ma c'è anche una sensazione di non pericolosità di fondo associata a questo disastro nucleare che mi fa arrabbiare. E' vero che abbiamo tanti problemi qui, è vero anche che non ci troviamo difronte ad un'altra Chernobyl ma non si può pensare che la cosa non riguardi anche noi. Tanto più che ci aspetta un referendum che proprio del nostro futuro nucleare dovrà decidere ma qui invece di riempire questo momento di contenuti si sorvola, si danno giornalieri bollettini e nessuno sembra interessato per esempio a spiegare perché, nonostante sforzi eroici, la situazione non sia ancora sotto controllo, ci basta sentirci dire che il pericolo non ci riguarda perché "lontano" per sentirci più tranquilli, si sottolinea come sistemi di sicurezza migliori rispetto a quelli utilizzati nell'86 abbiano evitato una catastrofe atomica mondiale ma io mi chiedo cosa sta accadendo a quella parte di oceano dove i livelli di radioattività sono 140 volte superiori alla norma e cosa accadrà ai territori inclusi nella fascia attualmente evacuata.
Magari queste cose le noto io perché sono un po paranoica o perché il mio lettore giapponese sta ancora lì (a proposito "lettore giapponese" a questo punto mi sentirei molto meglio se tu mi facessi sapere come stai e come vanno le cose dove sei) o perché, quando sento che viene consigliato agli abitanti di Tokio di stare chiusi in casa in caso di venti provenienti dalle centrali, penso a come deve essere difficile per i bambini e angoscioso per i genitori; sarà sicuramente per tutto questo che qualcosa non mi quadra nel modo in cui ci stanno informando su questa storia tuttavia non posso fare a meno di pensare a questa cosa :

ll prezzo dell'uranio nei due decenni successivi continuò a declinare, per una serie di fattori concomitanti. I principali fattori furono il disastro di Chernobyl e la crisi e la dissoluzione dell'Unione Sovietica. L'esplosione dell'impianto di Chernobyl ebbe un forte impatto psicologico in tutto il mondo, provocando una riduzione o un blocco totale nei progetti di costruzione di nuovi impianti nucleari. Negli ultimi anni di esistenza dell'Unione Sovietica, per far fronte alla crescente crisi economica, questo paese mise in vendita grosse quantità di ossido di uranio, in un mercato già saturo per gli scarsi investimenti provocati dall'incidenti di Chernobyl, contribuendo a deprimere ulteriormente i prezzi.
Nella seconda metà degli anni novanta, i trattati per la non proliferazione nucleare tra la Russia e gli Stati Uniti portarono all'accordo Megaton contro Megawatt (1995), che vide lo smantellamento di moltissime testate nucleari sovietiche e la vendita come combustibile dell'ossido di uranio da esse ricavabile. Il conseguente e ulteriore aumento dell'offerta ha prodotto un fortissimo ribasso nei prezzi fino alla fine del secolo.
Nonostante il fatto che in molti paesi Europei - FranciaGermaniaSpagnaSveziaSvizzeraRegno Unito - all'iniziale riduzione dei piani di sviluppo del nucleare civile sia in seguito corrisposta una nuova fase di costruzione e ammodernamento delle centrali nucleari, per lungo tempo l'offerta di combustibile nucleare ha fortemente ecceduto la domanda.
Dal 1981 i prezzi per l'ossido di uranio U3O8 registrati dal Dipartimento per l'Energia degli Stati Uniti sono stati in continuo calo fino all'anno 2000: da 32,90 $/lb di U3O8 del 1981 a 12,55 $/lb nel 1990 a meno di 10 $/lb nel 2000. Il minimo valore del prezzo dell'uranio si è raggiunto nel 2001 a meno di 7 $/lb[1].
Negli ultimi anni (2001-2006) la richiesta mondiale di uranio è fortemente aumentata. Le cause vanno ricercate nella massiccia costruzione di nuovi reattori nucleari (28 cantieri inaugurati tra il 2000 e il 2005, su un totale di 442 reattori esistenti nel 2006; l'AIEA prevede altri 168 nuovi cantieri reattori entro il 2020) e anche nell'accresciuta domanda energetica dei paesi che utilizzano energia nucleare (soprattutto da parte diCinaIndiaCorea del SudRussiaGiappone e Stati Uniti), che negli ultimi anni è arrivata ad eccedere l'offerta. Per soddisfare la crescente domanda molti paesi consumatori e produttori hanno iniziato ad intaccare le cosiddette fonti secondarie di uranio, ossia le scorte accumulate in deposito nei decenni precedenti. ( http://it.wikipedia.org/wiki/Uranio ).


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